Didascalie, la rubrica quindicinale di Valerio Magrelli per il sito di Il Reportage, che si affianca a quella da lui tenuta sul trimestrale cartaceo.
Finalmente sono in treno. E’ il terzo che prendo in tre giorni. E’ il terzo che perdo in tre giorni, anzi, per la precisione, il secondo e mezzo (poi spiegherò perché). Questa volta però, strano a dirsi, non parlerò dei classici ritardi delle nostre ferrovie. I miei treni, anzi, li ho persi proprio in quanto “troppo” puntuali! Oggi voglio parlare di un’altra storia “italiana”, e uso questo aggettivo a buon diritto in quanto le mie peripezie si sono svolte in tre città diverse del Belpaese. Posso quindi a ragione sostenere di aver compiuto una discreta e alquanto attendibile indagine sul campo. Tema: il trasporto pubblico. Ma andiamo con ordine.
Piove ed è venerdì, sono al Pigneto. Questo, fra i tre, è il racconto più prevedibile. Verso le dieci di sera ho provato a recarmi alla stazione. Un amico mi dice, sorridendo: “Ma come, sei di Roma e hai chiamato un tassì di notte, quando piove?”. Scuote la testa. Ha ragione. Dopo mezz’ora, ripiego su un’auto Enjoy, ma perdo il treno.
E uno. Il giorno dopo, nei miei pendolarismi, pranzo a Bologna. Credendo di trovarmi nel Nord civilizzato, ho avuto la pretesa di chiamare un’auto pubblica con “appena” un’ora di anticipo sulla partenza. Come è giusto che sia, la mia ignoranza viene severamente penalizzata. Così, dopo una lunga e inutile corsa a piedi, perdo il secondo treno. Chissà perché, a Bologna, in un bel pomeriggio di domenica, pensavo d’essere in salvo dal caos romano. Sbagliavo. Quanto a disguidi o inaffidabilità, il capoluogo dell’Emilia-Romagna non è affatto diverso dalla capitale.
E siamo infine arrivati al terzo aneddoto, quello che ho calcolato (ispirandomi al Fellini di Otto e mezzo) con un punteggio di 0,5. La ragione è presto detta: se nei primi due casi ho perso il treno, qui è accaduto il contrario. Alla partenza, tutto è andato liscio, ma all’arrivo… Secondo un’antichissima tradizione, a Pisa, in certi luoghi, i taxi non esistono. Per essere più precisi, nel parcheggio della stazione, ormai da anni, ho sempre atteso anche venti, trenta minuti che una macchina apparisse all’orizzonte. Sì, avete letto bene: “nel parcheggio della stazione”! Ossia nel posto che, per definizione, dovrebbe essere, fra tutti, il più fornito. Finché si tratta di Milano o Roma, con centinaia di turisti, passi. Ma a Pisa ci si ritrova in quattro gatti, sistematicamente abbandonati per strada ad aspettare. Da qui la scelta di dimezzare il punto. Il treno, infatti, non lo perdi mai; in compenso, però, rischi di perdere ogni altro appuntamento!
Proviamo allora a tirare le fila del discorso. Certo, sarò stato senz’altro sfortunato – fossero queste le sfortune, poi! Eppure, dubito seriamente che una cosa del genere possa succedere in un’altra nazione europea. Paese che vai, usanze che trovi. L’Italia è fatta così, che ci vuoi fare? Risponderò con due considerazioni. La prima, riguarda le istruzioni per l’uso necessarie, più che ai nativi, ai visitatori. Sarebbe bene prendere atto delle nostre usanze e dunque ratificarle in maniera esplicita. Dannoso, dannosissimo far finta che un servizio funzioni: meglio accettarne e dichiararne i limiti. Bisognerebbe cioè denunciare le sue mancanze a chiare lettere sulle guide turistiche, prendendo atto della cruda realtà.
Perciò, il Comune stesso dovrebbe scrivere sopra appositi cartelli: “Non cercate un taxi dopo le otto di sera, e comunque non dopo le tre in caso di pioggia (Roma); “Non cercate un taxi se non un’ora prima del bisogno, e comunque mai la domenica in caso di sole” (Bologna); “Non cercate un taxi se non trenta minuti prima del bisogno, e comunque mai alla stazione” (Pisa). Annunciare, dicevo, agli stranieri, ma anche e specialmente agli italiani! Infatti, immaginandosi nel felice settentrione, giunto a Pisa o a Bologna ogni romano potrebbe immaginare di avere a disposizione un servizio taxi affidabile. Onde evitare qualsiasi equivoco al riguardo, lo si avverta pertanto tempestivamente, offrendogli così la possibilità di regolarsi come meglio crede.
Seconda e ultima notazione. Perché agitarsi tanto, in queste settimane, circa il pericolo che l’Italia esca dall’Europa? Per uscirne, dovrebbe prima esserci entrata, il che, per esperienza personale, non credo sia mai accaduto.
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