– Una faccia sotto copertura
– di Riccardo De Gennaro.
Non è obbligatorio travestirsi da profugo somalo, o da senzatetto o farsi assumere da un call center, come ha fatto lui, per scrivere un buon reportage, ma se un giovane giornalista o aspirante tale vuole sapere che cosa significa essere un grande cronista si legga “Notizie dal migliore dei mondi” di Gunter Wallraff, che divenne celebre in tutto il mondo a metà degli anni Ottanta con “Faccia da turco”, edito in Italia da Pironti. Le “notizie” sono cinque dei suoi più recenti reportage realizzati in Germania e pubblicati in Italia da L’Orma www.lormaeditore.it, un nuovo e coraggioso editore, specializzato in letteratura francese e tedesca. Tre di quei lunghi reportage sono stati realizzati da Wallraff sotto mentite spoglie, o meglio – come dice il sottotitolo che richiama quel libro di quasi trent’anni fa – con “una faccia sotto copertura”; gli altri due – sull’alta ristorazione e sul funzionamento di una clinica psichiatrica di Goddelau – attraverso meticolose ricerche e testimonianze dirette.
L’obiettivo di Walraff – il cui principio sociale fondamentale è la solidarietà con i più deboli – è mascherarsi per smascherare. Quando va in giro per la Germania con il viso dipinto di nero e una parrucca riccioluta per sembrare un africano – non gli risulta purtroppo difficile andare a cozzare nel peggio dell’anima tedesca, ovvero in quel razzismo che forse lui stesso credeva superato. La diffidenza è un dato di fatto, sempre e comunque. Poi, nella maggior parte dei casi, vi si aggiungono la derisione, gli insulti, infine il rischio di rimanere vittima di violenza fisica. “Io ti spello vivo! Senti vecchio, sparisci! Sparisci da questo Paese! Questo è un posto per bianchi!”, lo aggredisce sul treno che da Cottbus porta a Dresda un ultrà neonazista della Dinamo Dresda, secondo il quale “non esistono negri tedeschi”. Così come “l’Africa è per scimmie, l’Europa per i bianchi”, una cosetta che si sente dire da un tizio mentre tenta di entrare al Bar Mojito di Rosenheim. Nel suo peregrinare (in cerca di casa o di un semplice orto urbano da coltivare, nelle birrerie, in città, in montagna per un’escursione, in treno, fuori da uno stadio di calcio, per iscriversi a un club per l’addestramento dei cani, per ottenere un permesso di caccia), Wallraff s’imbatte – come il protagonista del film di Fassbinder “La paura mangia l’anima” – in tutte le gradazioni del razzismo: a un lato di questa “forbice” l’insofferenza (se si siede su una panchina la gente che è già seduta si alza e se ne va), all’altro capo la violenza (quella dell’ultrà). Non c’è cosa che un nero possa fare in Germania come un tedesco bianco.
Il dramma è che il confronto con il passato è sconfortante. Lo scrive egli stesso nelle comnclusioni del libro: “Sono troppi i regressi a cui abbiamo dovuto assistere negli ultimi anni: le ingiustizie sono aumentate e le condizioni di vita non sono affatto diventate più umane, al contrario”. Wallraff lo constata anche nelle vesti di operatore dei call center, un lavoro che ti trasforma e ti spinge ad assumere la mentalità del truffatore al quale si chiede di vendere sistemi di vincita al lotto o detersivi “ecologici” raggirando povera gente, grazie a diaboliche tecniche di persuasione telefonica e forti di contratti quasi impossibili da rescindere. Alla Call On e alla Ziu international Wallraff incontra un’umanità dedita alla competizione più estrema: i più deboli di stomaco mollano presto, oppure si ammalano, o addirittura – come in un caso di pentimento – finiscono in un ospedale pscichiatrico. Gli altri – quelli che segnano alla lavagna i contratti conclusi, i ”colpi” – snaturano a poco a poco la loro personalità e si trasformano in macchine da guerra o in piccoli pescecani, come in un certo modo ha raccontato anche Paolo Virzì in “Tutta la vita davanti”. Ma se nei call center Wallraff raccoglie le storie di un’umanità squallida e impotente, ricattata dalla deregolamentazione universale del “nuovo” mercato del lavoro, quando indossa i panni dell’homeless lo scenario muta completamente: a parte rari casi di competizione per il posto migliore dove dormire, gli umili e coloro che umili sono diventati a causa delle più varie traversie esistenziali (tutti o quasi provengono da diverse, anche importanti, esperienze lavorative) dimostrano una loro dignità, che – come titola il reportage – è la “dignità della strada”.
Il libro di Wallraff, come i libri di Kapuscinski, di Verbitsky, della Politkovskaja, vale più di qualunque manuale di giornalismo, magari consigliato dall’Ordine nazionale dei giornalisti, schieratosi a favore di un altro genere di giornalista, il direttore Alessandro Sallusti, perché a suo dire la sentenza che lo ha condannato a 14 mesi di carcere per un pezzo costruito con una montagna di falsità e insulti è “un’intimidazione a tutti i giornalisti”.