Sulu, Filippine, l’isola proibita, un luogo magnifico, con acque cristalline e foreste impenetrabili, mangrovie, alberi da frutto dai nomi esotici, piantagioni di caffè e palme. Ma dove, da più di quarant’anni, gruppi indipendentisti musulmani sono impegnati nella rivendicazione della propria autonomia, gruppi che, negli anni, hanno cambiato strategia e sono passati dalla lotta armata contro il governo centrale a una forma di alleanza per contrastare l’ascesa dell’Isis in alcune zone del Paese. Do ut des. Dal Moro national liberation front (Mnlf) al Moro islamic liberation front (Milf) fino alle formazioni collegate al terrorismo internazionale, come Abu Sayyaf e il gruppo Maute, affiliati all’Isis, l’intreccio delle sigle è piuttosto complesso e in via di evoluzione.
“Nel 1968 avevo iniziato a frequentare la resistenza. Era il periodo del massacro di Jabidah
e dell’insorgenza di un’organizzazione estremista cristiana chiamata Ilaga, formazioni paramilitari, responsabili del massacro di centinaia di musulmani. A quel tempo ero all’Università e mi stavo laureando, ma di fronte a quella minaccia, alla campagna di genocidio di un gruppo di fanatici supportati dall’esercito e dal governo lippino, formammo un’organizzazione clandestina”.
A parlare è Al-Hajj Murad Ebrahim, presidente del Moro islamic liberation front, che è attualmente schierato a fianco del governo Duterte nella lotta allo Stato Islamico assieme al Moro national liberation front. “Avevo 19 anni – continua – e da quel momento la situazione in Bangsamoro (una regione storica a maggioranza musulmana, ndr) peggiorò fino all’arrivo del presidente Marcos, nel 1972, quando venne dichiarata la legge marziale”, spiega. (…)
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