Negli anni ’70 a Lagos, il cuore economico della Nigeria, c’era una Repubblica indipendente. E questo stato aveva un nome che, solo a pronunciarlo, ancor oggi evoca le note di un sax contralto, liriche anticoloniali e panafricane, odore di marijuana e promiscuità sessuale: Repubblica di Kalakuta, cioè una villa divenuta una nazione, dove Fela Kuti, il padre dell’afrobeat, viveva con le sue 27 mogli, i figli, la madre e i musicisti, gli adepti e tutti coloro che, oltre alla musica, condividevano con Fela il messaggio di libertà e di rinnovamento della Nigeria, di lotta alla corruzione e di opposizione al regime militare e, soprattutto, di giustizia sociale.
Sono passati esattamente 20 anni da quando Fela Anikulapo Kuti è morto di aids all’età di 58 anni, ma il suo messaggio, i suoi pezzi lisergici e ipnotici, il suo sax lanciato nell’iperspazio dei sovra acuti, con una leggerezza e una semplicità degna dei migliori jazzisti beebop americani, sono attuali come non mai. E, in occasione dell’anniversario della sua scomparsa, la città di Lagos e il New Africa Shrine, il locale dove suonava con la sua orchestra, si apprestano ad accogliere una manifestazione internazionale, che non avrà solo il compito di far rivivere la musica di una delle star degli anni ’70, ma anche di ridare luce alla filosofia di un’artista che è quanto mai presente nella gioventù nigeriana. I giovani, da Lagos ad Abuja, oggi devono infatti affrontare i problemi che Fela Kuti denunciava, orfani però di una guida come la sua.
Per intendere quindi l’eredità e il vuoto che Mister Afrobeat ha lasciato, occorre appunto ritornare nella Nigeria degli anni ’70, perchè la vita personale del saxofonista, quella del suo Paese, la musica e la politica del tempo, sono un unico imprescindibile e, solo analizzando il tutto nel suo insieme, si può arrivare a capire la ragione per cui nel 2017 i giovani urlino ancora nei locali, così come nei microfoni delle radio e negli atenei, ”Zombie! Zombie!”.
Era il 1977, anno topico della ribellione musicale a livello globale, quando uscì il disco Zombie. Un messaggio musicale e politico rivoluzionario, di una portata mai vista. Nel Paese africano, governato da una giunta militare spietata, Fela Kuti con i suoi musicisti dava alle stampe un pezzo nel quale, senza mezzi termini, diceva che i soldati altro non erano che degli zombie, che eseguivano gli ordini senza porsi domande, come lobotomizzati dal potere che li manovrava. E, non pago della provocazione, durante i live marciava facendo il passo dell’oca delle SS. A quel punto il governo di Obasanjo ritenne che fosse troppo: i soldati fecero quindi irruzione nella Repubblica di Kalakuta, distrussero strumenti e arredo, diedero alle fiamme il generatore e defenestrarono la madre dell’artista che, per le ferite riportate, non si sarebbe più ripresa.
Ma, nonostante la repressione, il vero spirito di Fela Kuti emerse in quel momento: lo Stato negò ogni coinvolgimento e, sebbene fosse evidente la responsabilità dei militari governativi, imputò ad ignoti l’accaduto. L’artista, allora, replicò con un pezzo ancor più esplosivo: Unknown Soldier.
Guerrigliero della musica, barricadero e ribelle, ingombrante e polemico, tradizionalista e rivoluzionario, Fela Kuti fu tante cose e, di certo, è più facile dire cosa non fu: non fu né arrendevole, nè spaventato. E mai fu così. Figlio di un pastore e di una militante femminista nigeriana, frequentò il conservatorio di Londra, andò a Los Angeles, entrò in contatto con le Black Panther e poi intraprese la carriera da suonatore e compositore facendo della musica ciò che egli riteneva che essa fosse: ”un’arma da puntare al cuore del potere’‘. Riuscì nel suo intento: divenne il leader di un movimento di musica politica. E, infatti, il regime, non potendo colpire l’arte, colpì l’artista: più volte Fela Kuti conobbe il carcere e la tortura.
Venti anni sono passati dalla sua morte, ma la Nigeria ancora vive i problemi di fine anni ’90, con la corruzione endemica e le lobby petrolifere che amministrano il potere, una guerriglia islamista nel nord e una indipendentista nel sud e l’esercito che impone l’ordine con la paura. Ecco allora che, oggi come non mai, l’eredità di Fela Kuti è importante, così come il suo messaggio di lotta per i giovani nigeriani.