ATENE – A una sgangherata pompa di benzina nella regione greca più tradizionalmente ostile alla sinistra – la Laconia della storica antagonista di Atene, Sparta – la donna mi domanda: “Che pensa? Ce la faremo davvero?”. “Dovrebbe dirmelo lei, signora”. Resta come sospesa, la donna. Guarda nel nulla di una valletta desolata. Il cielo annuncia piogge dopo giorni in cui la primavera è comparsa all’improvviso, i famosi “giorni di Alcione” quando in Grecia e solo in Grecia Zeus concede ai terrestri un anticipo della buona stagione per consentire a Ceice e a sua moglie Alcione, trasformati in uccelli, di nidificare e riprodursi. Solo ronzii di insetti, api che volteggiano attorno a una mimosa già fiorita. La donna si scuote quando la pompa stacca, torna al suo lavoro, richiude il serbatoio poi mormora: “Fino alla fine non si può mai sapere, in Grecia, fino alla fine io non ci credo. Ma è la nostra ultima occasione”.
Rientrando in città, scandisco per l’ennesima volta i numeri di questa ultima occasione greca. È come se gli effetti della “cura” imposta dalla Troika (Fmi, Bce, Ue) entrando nel quinto anno, avessero portato il paziente alla definitiva inesorabile ribellione. Stanco di essere prostrato da farmaci che ne peggiorano le condizioni, il paziente si alza dal lettino e strappa cannule e flebo e chiede di poter tornare a vivere, a fare da sé. Se addirittura in Laconia le cose vanno così, infatti, devono avere ragione i sondaggi che assicurano della vittoria di Syriza, la formazione di sinistra radicale guidata da Alexis Tsipras. I numeri che mi volteggiano in testa sono sbalorditivi. La “cura” doveva mettere a posto il debito e i conti: ebbene, a partire dal 2010, anno in cui cominciarono a arrivare in Grecia i cosiddetti aiuti, il debito pubblico è passato dal 124 al 175 per cento del Pil, mentre il Pil è sceso del 20 per cento. Niente conti a posto, dunque, ma neppure i numeri della salute economica sono diversi. La disoccupazione è cresciuta dal 15 al 27 per cento (tra i giovani è al 62), mentre 240mila piccole e medie imprese hanno chiuso (erano 745.677). E che dire della situazione di emergenza umanitaria a cui si è arrivati? I senzatetto di Atene erano circa tremila. Ora sono più di 30mila. La spesa sanitaria è scesa del 25 per cento (tre milioni – sui quasi 11 milioni di abitanti – sono privi di copertura sanitaria).
Le case senza elettricità sono 330mila. I giovani che hanno lasciato il paese 150mila. I suicidi sono cresciuti del 43 per cento.È per questo che Giannis Milios, responsabile economico di Syriza, è sicuro: “Vinceremo le elezioni. Avremo la forza politica per chiedere e ottenere di ristrutturare il nostro debito, perché è evidente che così non si può andare avanti”. Milios mi accoglie in un bel bar del centro, nella piazza dove Ottone di Wittelsbach, primo re offerto alla Grecia dalle grandi potenze (Regno Unito, Francia e Russia), concesse al popolo una costituzione nel 1943. In piazza Syntagma (ossia, appunto, Costituzione).
Mi offre un caffè greco di quelli che vanno bevuti e sorseggiati e goduti con lentezza se vuoi capire che la Grecia ha una sua identità e una sua storia assolutamente indipendenti e intolleranti verso qualsiasi forma di “protettorato” con cui si è cercato di metterla a bada fin da quegli anni, dopo la leggendaria guerra d’indipendenza con cui si liberò dalla secolare dominazione turca nel 1827.
Docente universitario, appena tornato da Berlino dove ha rilasciato interviste ai principali giornali tedeschi, Milios ripete quel che i numeri dicevano già chiaro e tondo, e cioè che “l’austerity è fallita in tutti i suoi obiettivi, ossia diminuire il debito, aumentare la competitività e l’occupazione. Bisogna semplicemente prenderne atto. È per questo che i cittadini greci voteranno in massa per Syriza, perché soltanto Syriza ha presentato un programma di governo chiaro per ribaltare questa situazione”. Il futuro “a patto che si vinca conquistando la maggioranza dei seggi e non si debba governare con il freno a mano tirato” (ossia il freno di un alleato che ammorbidirebbe la fermezza con cui Syriza vuole affrontare la situazione) segue due binari paralleli. Da una parte c’è la richiesta di ristrutturare il debito. Dall’altra, il programma di governo, il programma di Salonicco. Cominciamo dal debito, allora.
Milios snocciola frasi come una macchina. “Abbiamo parlato della Conferenza di Londra del 1953 quando venne tagliato il debito della Germania allora sfinita da una guerra che aveva provocato e perso. È un riferimento etico e simbolico forte. Non avrebbe mai ripreso a crescere la Germania se si fossero adottate nei suoi confronti le politiche somministrate alla Grecia. Ora, poiché non credo che l’Europa sia un’unione in cui i Paesi devono farsi reciprocamente guerra, è arrivato il momento di prendere una decisione forte e chiara. Noi chiediamo che una parte del debito sia cancellata mentre per la restituzione dell’altra chiediamo una clausola di crescita, così da non dover pagare indebitandoci ulteriormente. Chi ci critica chiede: e se rifiuteranno? Beh, non rifiuteranno. Non possono rifiutare. Perché noi così non possiamo andare avanti. I più critici dicono ancora: finirete fuori dall’euro. È lo spauracchio del “Grexit” con cui nel 2012 Samaras vinse le elezioni. È solo uno spauracchio. Alexis (ossia Tsipras – da tutti qui, non solo gli amici, chiamato per nome) ha spiegato bene come abbiano giocato con la paura i nostri avversari politici. Non è un caso che ora lo slogan di Syriza sia tutto nella parola greca Elpida, ossia Speranza. Vede, l’uscita della Grecia dall’euro non converrebbe a nessuno. Ma di più: sarebbe catastrofica per tutti gli altri paesi dell’Unione. È dunque un’ipotesi assolutamente irreale. Con il “Grexit” insomma si è solo giocato. Un gioco spericolato, un ricatto. Ma non si tratta della prospettiva reale”. Lo smartphone di Milios vibra e s’illumina: una stella rossa su sfondo nero irrompe sul tavolino del bar. Gli domando se non abbia trovato quasi paradossale che l’accoglienza migliore alle proposte e ai programmi di Syriza sia venuta dagli Stati Uniti e lui scuote il capo: “Sanno bene che l’austerità destabilizza l’economia e che semplicemente non si può andare avanti così”.
Non si può andare avanti così. Questo è il punto, la chiave con cui Syriza si lancia fiduciosa nella tornata elettorale. “L’ultima possibilità”, secondo le parole della benzinaia di Laconia diventano “la prima possibilità” per un partito che fino a pochi anni fa lottava per entrare in Parlamento e superare la soglia del tre per cento dei consensi e che adesso, vista la legge elettorale, preferirebbe vedere pochi partiti che superano quella soglia, così da aumentare i parlamentari eletti tra le proprie fila. Il numero di 151 deputati – uno in più della metà del Parlamento greco – è il numero magico oltre cui sta la sicurezza. Allora si potrà tirare dritto. E non resterà carta straccia il programma lanciato a Thessaloniki ben prima che le elezioni diventassero una prospettiva reale. Il “programma di Salonicco”, come traduciamo noi italiani la seconda città greca (Atene da sola accoglie quasi la metà della cittadinanza greca. Salonicco circa mezzo milione di abitanti), si articola in quattro sezioni precisamente corredate dai numeri che ne certificano i costi. Due libri in uscita in questi giorni in Italia, spiegano fedelmente le proposte firmate da Syriza: Teodoro Andreadis Synghellakis, Alexis Tsipras. La mia Sinistra (Bordeaux) e Dimitri Deliolanes, La sfida di Atene (Fandango).
La prima sezione punta a mettere argini contro la tragica crisi umanitaria. È la parte più straziante del programma perché racconta le necessità a cui dovrà far fronte un prossimo governo di sinistra: elettricità gratis e buoni pasto per 300mila famiglie sotto la soglia di povertà, 30mila appartamenti per i senzatetto, restituzione della tredicesima ai pensionati sotto i 700 euro, assistenza medica per i non assicurati, abrogazione dell’imposta di consumo speciale sul riscaldamento a gasolio che ha lasciato al freddo migliaia di famiglie. La seconda sezione punta a rilanciare l’economia. La terza a rilanciare l’occupazione. La quarta a riformare la politica, la partecipazione democratica, l’immunità e l’organizzazione regionale dello Stato.
La precisione con cui gli esperti del partito di Tsipras hanno definito la copertura del loro programma di rilancio del Paese deriva in buona parte dalla funzione di stimolo che in questi anni ha esercitato una delle figure più carismatiche della sinistra greca. Penso a Manolis Glezos, mentre esco dal caffè e saluto Milios che corre a un altro degli innumerevoli appuntamenti di questi giorni. Glezos lo incontrai proprio qui, dall’altra parte di piazza Syndagma, nelle aule del Parlamento, un anno fa. A novantadue anni, instancabile, feroce come il diciottenne che nel 1941 si arrampicò sull’Acropoli per strappare la bandiera nazista, Glezos già mi diceva con sicurezza: “Saremo il prossimo governo greco. Quello che dobbiamo spiegare bene è dove troviamo i soldi per fare ciò che promettiamo”. Le sue innumerevoli storie, gli arresti, le torture, i tentativi di reintrodurre forme di democrazia diretta sul territorio, tutta l’infinita mole di passato che s’incarna in questo simbolo greco non ha nulla a che vedere con la portata di futuro che egli apre costantemente davanti a sé.
Così, se lo stimolo a spiegare bene le coperture dei programmi umanitari di Syriza ha avuto una parte decisiva per dare credibilità al partito di Tsipras, un altro dei “pallini” del grande partigiano va a rinsaldare le richieste con cui Syriza si lancia nella sua richiesta di governo e di ristrutturazione dei rapporti europei. Si tratta del debito di guerra che la Germania non ha mai pagato alla Grecia, diversamente da quanto hanno fatto Italia e Bulgaria. Oggi Glezos è ancora in prima fila. Parlamentare europeo (il più anziano in assoluto e il più votato di Grecia con i suoi 430mila voti), vive a Bruxelles e fatica a restare lontano dalla sua Grecia. Alexis Tsipras lo ha ricordato dal palco di piazza Omonia parlando alla folla di ateniesi che inondava il suo conclusivo appuntamento elettorale. Perché le sfide di Glezos sono innumerevoli: rappresentano in maniera esemplare l’inesauribilità dell’impegno politico nel senso antico che porta il termine, ossia l’impegno per la polis: la città, lo Stato. Mi resta sempre in mente, l’uomo con i suoi occhi azzurri e i suoi baffoni spioventi, mentre entro in una delle ultime feste elettorali del partito. Partecipazione democratica e ricostruzione del senso civico – sono tra le parole d’ordine su cui ha vissuto il suo impegno politico da sempre. In una città a volte selvaggia come Atene, dove il rispetto di regole comuni viene spesso calpestato nella globale indifferenza, resto stupito a contemplare la festa che si dà dietro piazza Amerikis, nel quartiere multietnico di Kypseli.
I candidati hanno parlato, due musicisti hanno imbracciato i loro strumenti e una immensa tavola è stata imbandita con cibi di ogni genere. I convenuti si snodano in una ordinatissima fila che sembra di essere a Londra. È uno spettacolo a cui non ho mai partecipato in Grecia. Qualcosa di assolutamente insolito. C’è un anziano militante di fonte a me, chiuso nella sua elegante giacca lisa coperta in parte dalla sciarpa rossa, capelli bianchi ben pettinati da una parte. Mi sorride e dice “stia certo che stavolta vinciamo”. Ancora sconcertato da quella fila ordinata quasi british penso alla signora della pompa di benzina spartana. Vorrei che fosse qui. Forse potrebbe trovare un po’ di tranquillità e di coraggio per aprire gli occhi di fronte a quello che sarà infine il verdetto elettorale domenica sera.