La sala da tè è la stessa. Al centro del dedalo di vie che innervano Beyoglu, il quartiere centrale di Istanbul. Dall’interno del locale, oltre la vetrata, si vedono correre, come se appartenessero a piani paralleli, turisti americani, uomini e donne che tornano a casa dal lavoro e manifestanti in fuga, braccati dalla polizia, che spara lacrimogeni ad altezza d’uomo. Una scena surreale, come se un’anestesia generale avesse normalizzato scontri e tensioni. Nella sala l’odore acre dei gas: i camerieri servono con la stessa faccia indifferente il tè e i limoni per gli intossicati. A un tavolo si parla di calcio, a quello accanto c’è gente che tossisce rumorosamente e tenta di pulirsi gli occhi dall’acqua urticante della polizia. Come se fossero normali, l’una e l’altra cosa. Istanbul, un anno dopo.
Che cosa resta di Gezi Park, del movimento che per due settimane, tra il maggio e il giugno del 2013, ha difeso gli alberi del parco e che alla fine ha dovuto contare sette morti e migliaia di arresti? (…)
Potrete leggere l’articolo integrale su Reportage n.19, in libreria e acquistabile in cartaceo e in ebook qui