I libri che abbiamo letto su Reportage numero 58

 

Invernale | Dario Voltolini (La Nave di Teseo)

L’ultimo romanzo di Dario Voltolini ha per titolo Invernale, terzo capitolo di una tetralogia dedicata alle quattro stagioni. Ma non c’è la neve, anzi potremmo dire che è un romanzo “without water”, non annacquato. Non lo è lo stile, denso, compatto; non lo è la storia, che corrisponde perfettamente allo stile nell’esaltazione della precisione del gesto, della nitidezza, e dove vige un costante equilibrio tra parola e silenzio. Dell’inverno c’è soltanto la rigidità. Di un corpo, quello del padre, Gino. Il quale morì per un tumore nelle settimane successive al mondiale di calcio dell’82, vinto dall’Italia di Bearzot. Per quarant’anni Voltolini si è portato dentro questo dolore, ma ora ha deciso di esternarlo, rendendoci partecipi del lutto grazie alla versatilità della sua scrittura che non conosce ostacoli. Il padre di Dario faceva il macellaio al mercato di Porta Palazzo, nel tempo libero andava a caccia o giocava al calcio, il suo calciatore più amato era Omar Sivori, che saltava gli avversari a caviglie scoperte. C’era un Gino ciarliero, che si scambiava continuamente battute da un banco all’altro con i colleghi, e c’era un Gino silenzioso, a casa, nel privato. Dario va a scuola, qualche volta lo affianca nel lavoro, come dimostra il primo, straordinario, capitolo del romanzo, che illustra il loro rito: tagliare le carni (manzi, polli, conigli, agnelli sacrificali…), liberare le frattaglie, riordinare e pulire le vetrine nell’incredibile caos del mercato, dove tutti si spingono e gridano come in una “versione insurrezionale della Borsa di Wall Street”. Poi, un maledetto giorno, dopo molti felici giorni, il taglio di un dito col coltello, quasi di netto, durante una fase di lavoro. Di qui l’infezione e l’inizio del dramma, che ha il ritmo crescente di un bolero. A poco a poco, mentre si susseguono i consulti e le diagnosi, fino ad approdare alla sentenza definitiva (linfosarcoma prolinfocitario), Gino perde la sua energia, si sente sempre più stanco e si fa consapevole che il suo organismo è stato occupato da un esercito nemico e che non sarà sufficiente la vincristina, un farmaco antitumorale, a organizzare le difese. Invernale non è soltanto il ricordo dell’affettuoso legame tra Gino e Dario, ma è anche un romanzo archetipico dei rapporti padre-figlio, l’odissea di tutti coloro che, accomunati da un senso di inquietudine e incertezza, sono costretti a entrare nel tunnel degli esami clinici, un tunnel che spesso è senza uscita. Riccardo De Gennaro

 

Autobiogrammatica | Tommaso Giartosio (Minimum fax)

Autobiogrammatica di Tommaso Giartosio più che un libro è un giardino segreto disvelato, in cui cresce a più non posso l’albero genealogico dell’autore. Un albero non tanto diramato quanto frascoso, una dolce giungla, in cui le foglie sventolano per ogni accento. E se normalmente non abbiamo la fortuna di veder sbocciare i fiori o formarsi le foglie, l’autore è invece rimasto qui solo per filmare questo momento di assurda bellezza, godimento strepitoso: l’infanzia che muore, la morte che risplende. E non serve essere Scrooge per rivedere il passato, il fantasmino dell’autobiogrammatica ci accompagna attraverso i capitoli alfabetini dell’eserciziario leggendo i taccuini di Giartosio come una stele di Rosetta. Ci legge le sue pagine inchiostrate di nero, i suoi linguaggi piroettanti di famiglia, ma anche i suoi silenzi, eredità non indifferente lasciata da papàemamma. L’autore, tuttavia, non si scoraggia affatto da ciò che a vent’anni torna a galla e dopo inizia perfino a puzzare. Spesso il lascito familiare, oltre che un lessico, è un fardello e chi ha coscienza lo sa. Ecco però una via d’uscita (l’unica?). Cambiare. Allenarsi al proprio mutamento, sfidare il temperamento e il lato su cui ci si addormenta più volentieri. Uscire, non certo dal giardinetto frascoso né di senno, anzi, raggiungere un nuovo livello di consapevolezza: scegliersi un poeta, anche, per viaggi estremi, vie di fuga nell’alto dei cieli o negli abissi. Roberta Durante

 

Una spia tra di noi | Ben Macintyre (Neri Pozza. Traduzione di Raffaella Vitangeli)

La vita di Kim Philby è talmente emblematica della storia del Novecento da essere stata fonte di ispirazione per opere letterarie e cinematografiche divenute celebri. Su tutte La talpa, romanzo del 1974 di John Le Carré e, più indirettamente, Il fattore umano romanzo del 1978 di Graham Greene che di Philby fu amico. Ma chi era davvero Kim Philby?
È da questa domanda che muove Una spia tra di noi, il romanzo-biografia dell’autore britannico Ben Macintyre, che così scrive nel testo: “La parola più comune per descrivere Philby era ‘fascino’: una qualità inglese seducente, inebriante e a volte perfino letale”. Basato su documenti inediti dell’intelligence inglese, il libro di Macintyre ricostruisce l’eccezionalità di una vicenda umana che, dopo decenni, continua a mantenere inalterato il suo mistero. Nato ad Ambala (India) nel 1912, Kim Philby muore a Mosca nel 1988, dopo essere fuggito da Beirut per defezionare in Urss nel 1963. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia britannica, era il frutto della più esclusiva educazione inglese. Giovane e brillante studente di Cambridge, proprio nel periodo universitario già a inizio degli anni Trenta, Philby sposa la fede comunista per rimanerle fedele tutta la vita. Assurto a posizioni di assoluto rilievo all’interno dell’MI6 britannico, fu un agente segreto doppiogiochista tra i più strategici della Guerra fredda, per trent’anni a sostegno della causa sovietica. Maria Camilla Brunetti 

 

Noi senza mondo | Laura Pugno (Marsilio)

Un romanzo fatto a scatole cinesi, quella della narrazione è probabilmente l’ultima, al centro di una stratificazione prismatica. L’ultimo lavoro di Laura Pugno, Noi senza mondo, sviscera le contraddizioni e i cambiamenti di un momento epocale, in cui il paesaggio geologico, biologico e antropologico del nostro mondo deve fare i conti con una ridefinizione. La scatola “esterna” del libro è meta-letteraria e condensa momenti significativi della storia dell’autrice: dalla poesia de La mente paesaggio (2010) alla prosa saggistica di In territorio selvaggio (2018). La rappresentazione letteraria è anche sostanza del pensiero che rifluisce nel linguaggio sotto forma di immagini. In questo processo, l’io singolare, o antropocentrico, si sfrangia in un noi plurale. Il noi si interroga su nuovi modi di esistere, che sono “senza mondo”: privi – dal punto di vista esistenziale, ma anche ontologico – degli orientamenti e dei parametri con cui per secoli la nostra civiltà si è strutturata. E, dalla sponda di un futuro utopico, la civiltà che oggi ereditiamo può apparire tutt’altro che effettiva, anzi ci fa pensare che una civiltà autentica deve essere ancora realizzata. Non a caso, i personaggi di Pugno rimandano a quelli del romanzo ottocentesco di Cooper L’ultimo dei Mohicani, che racconta la fine di un popolo massacrato nelle praterie del Nord America. Noi senza mondo riflette sulla fine di come, fino ad ora, ci siamo pensati “umani”. Maria Borio

 

Femina | Janina Ramirez (Il Saggiatore. Traduzione di Roberta Zuppet)

Femina. era la dicitura utilizzata durante la Riforma per indicare i testi scritti da donne e quindi attenzionati per un’eventuale distruzione. Janina Ramirez, storica dell’arte, con questo saggio molto godibile, pubblicato dal Saggiatore, ci dimostra che il Medioevo non è quel magma oscuro che ci immaginiamo ma un fecondo periodo di transizione tra credenze pagane e cristianesimo, tra misticismo e scienza, dove le figure femminili non erano semplici spettatrici degli eventi. Furono numerose le donne che contribuirono a cambiare la società e che purtroppo non compaiono nei libri di storia. Si parla di Birka, la guerriera vichinga, e di Ilda di Whitby, vissuta nel 600, una sorta di life coach che aiutava con i suoi consigli re e capi spirituali. Ramirez si sofferma anche su Ildegarda, la nota monaca tedesca del XII secolo: mistica, erborista, musicista e molto altro, è forse l’unica donna del Medioevo, assieme a Giovanna d’Arco, ad avere ancora oggi la fama che merita. I conventi non erano luoghi ameni per donne solitarie ma incredibili fucine culturali, in alcuni casi spazi misti dove uomini e donne sperimentavano una società differente. Questo recupero di un passato inedito, come spiega l’autrice, è stato possibile grazie alle nuove tecnologie e a un approccio multidisciplinare e scevro da pregiudizi che considera la Storia non solo il prodotto delle grandi battaglie, ma anche di rivoluzioni culturali silenziose portate avanti nella pratica quotidiana. Simona Almerini

 

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