“Molti non capiscono che l’umanità è fatta di persone come noi”.
Fotografa e artista visiva pluripremiata, Simona Ghizzoni racconta la sua storia professionale e i temi a lei più cari. Nei suoi lavori memoria e presente si intrecciano in un linguaggio in costante evoluzione e di rispetto dell’altro. Sarajevo, nel 2006, fu il suo primo fotoreportage. L’influenza di Nan Goldin.
Smona Ghizzoni, fotografa e artista visiva, è nata a Reggio Emilia nel 1977. Lavora su progetti a lungo termine che hanno come fil-rouge una profonda indagine sulla condizione della donna in aree geografiche e contesti sociali e politici molto distanti tra loro. La ricerca visiva che Ghizzoni porta avanti da molti anni trova la sua radice in una riflessione sulla sua esperienza personale e l’ha portata, negli anni, a elaborare un linguaggio narrativo in profondo dialogo con i soggetti e con i luoghi che racconta. La sua è una narrazione visiva in cui memoria e presente, esperienza intima e dimensione collettiva, privato, Storia e attualità si intrecciano in un linguaggio in costante evoluzione. Le sue opere sono state esposte in mostre personali e collettive nei più importanti festival italiani e internazionali. Vincitrice per due volte del World Press Award, del quale nel 2022 ha presieduto la giuria per la sezione Europa, il suo lavoro è stato premiato tra gli altri anche con The Aftermath Project, Leica Oskar Barnack Award, e Sony World Photography Award. Simona Ghizzoni tiene regolarmente conferenze e lezioni in varie scuole e università italiane e europee. In questa lunga conversazione ci ha raccontato come la fotografia è entrata nella sua vita, gli incontri, i lavori e i luoghi che hanno nutrito la sua visione personale e la sua pratica artistica.
Simona, qual è stato il tuo primo incontro con la fotografia? Quali circostanze ti hanno portato a scegliere il linguaggio fotografico come tuo strumento privilegiato di narrazione?
L’incontro con la fotografia è avvenuto nella biblioteca di Reggio Emilia, città dove sono nata. È un luogo che ospita una sezione molto importante dedicata alla fotografia, in cui ho avuto modo di conoscere e studiare, tra gli altri, il lavoro di Robert Franck, di Koudelka, quello di Francesca Woodman… Fin dall’adolescenza mi sono sempre interessata ai diversi linguaggi artistici, ho studiato musica, sono sempre stata appassionata di pittura e arti visive, ma sono state proprio quelle letture che mi hanno portato ad avvicinarmi al linguaggio fotografico. Parlo di un periodo in cui ancora non esisteva internet, un momento storico che precede quello della rete. Ricordo che fotocopiavo le immagini che mi interessavano da questi libri e le archiviavo. Mio padre aveva all’epoca una vecchia macchina fotografica meccanica e ho iniziato a portarla sempre con me. Con il passare del tempo ho capito che l’interesse per questo linguaggio cresceva e ho deciso di studiare fotografia per poi laurearmi al Dams, con Claudio Marra, con una tesi in Storia della fotografia. Da lì la decisione di provare a fare il mio primo reportage. Era il 2006, e decisi di andare a Sarajevo, per i dieci anni dalla fine del conflitto. Tenni una sorta di diario di viaggio di quei luoghi e delle memorie che custodivano. Quello nei Balcani era stato il primo conflitto che avevo vissuto da vicino e aveva avuto un grande impatto su di me. Con questo lavoro vinsi il Premio Fnac. In giuria c’era anche Renata Ferri, che considero una sorta di mentore e che mi ha insegnato moltissimo negli anni in cui abbiamo lavorato insieme a “IO Donna”, rivista di cui lei è photoeditor. Quel premio mi spinse a credere che forse davvero avrei potuto fare della mia passione anche un lavoro. L’anno seguente entrai nell’agenzia Contrasto e da lì è iniziata la mia carriera professionale. (…)
Ph. Un’immagine scattata durante uno dei lavori che Simona Ghizzoni ha realizzato nella Striscia di Gaza.
L’intervista completa è pubblicata su Reportage numero 58 (aprile – giugno 2024), acquistabile qui in formato cartaceo e in digitale.