Nello spiazzo davanti alla stazione ferroviaria di Lamezia Terme, Antonino si fa riconoscere esibendo sul petto il disegno del palmo di una mano bianca dove s’intersecano decine di linee rosse. È il logo che Guido Scarabotto ha ideato per “Trame 3. Festival dei libri sulle mafie”, che dal 19 al 23 giugno ha animato questo centro in provincia di Catanzaro, nato nel ‘68 con l’accorpamento di tre comuni limitrofi. Di fronte alla stazione c’è il Grand Hotel, che nella caligine delle ore 15.40, sembra uno spettro, come abbandonato. Se ci si guarda intorno, colpisce sulla destra una breve sopraelevata, che assomiglia a un pezzo di una pista Policar piazzato a caso: porta a niente, interrompendosi tra le case dopo una ventina di metri.
Antonino è del luogo, studia Economia ed è uno dei 50 volontari del Festival. Per cinque giorni, con la sua auto, accompagnerà gli ospiti del Festival, rimborsato con 300 euro. I volontari sono venuti da tutta Italia, anche perché fare girare la macchina del Festival non è facile: perfino chiedere a un commerciante di esibire in vetrina la locandina col programma è dura. Chi lo fa rischia; chi non ci sta dimostra di temere ritorsioni oppure di pagare già il pizzo alla criminalità organizzata. I volontari fanno capo all’associazione Libera, studentesse per lo più. Il 10 giugno aveva assicurato la sua presenza anche la presidente della Camera, Laura Boldrini, ma poi non è venuta. Diretto quest’anno da Gaetano Savattieri, il festival è organizzato dalla Fondazione Trame, dall’associazione lametina Antiracket ed ha il sostegno del Comune di Lamezia e dell’Associazione italiana editori. Provincia e Regione si sono defilati dicendo: “Sempre di mafia si deve parlare?”.
Al Chiostro di San Domenico, cuore del Festival, siamo accolti da un labrador, una cagnetta avana che fiuta, scodinzolando, ogni angolo. Sollecitata dal suo allenatore, un artificiere della Polizia, annusa tra le sedie, tra i cavi elettrici, dietro un angolo improbabile. Va nelle stanze della sala stampa, nei gabinetti, dietro ogni colonna. Cerca, l’animale, l’odore acre del plastico, in gergo si dice: bonifica. Dall’inizio dell’anno a Catanzaro e provincia sono esplose 45 bombe. Non hanno fatto morti, ma ci sono stati danni ingenti a esercizi commerciali. Numerosi ordigni erano destinate ad amici o parenti direttamente collegabili ai collaboratori di giustizia che hanno portato alla cosiddetta “operazione Medusa”, conclusasi con trentasei condanne nella cosca dei Giampà. A Lamezia le bombe esplose sono state undici, più quattro scollegate dagli artificieri.
Rientra nell’ordinario, dunque, l’intervento degli artificieri nel corso di un festival di libri. Già, contro le mafie: ottanta eventi, ognuno una storia di criminalità organizzata, raccontata in un libro. Parlare di mafie attraverso i libri in una terra in cui sette persone su dieci non ne hanno letto uno solo negli ultimi dodici mesi (dati Aie) significa denunciare anche l’oscuramento delle notizie, nonché “le forme di censure violente, ma camuffate, molto estese in Italia”. Così Alberto Spampinato, che con l’osservatorio “Ossigeno per l’informazione” monitora i giornalisti minacciati dalla criminalità o censurati da parte di editori non sempre verificabili.
Non solo libri, però. Anche musica, cinema, proiezioni fuori programma come lo speciale Tg2Dossier di Francesco Vitale sulla morte di Mauro De Mauro, giornalista de L’Ora rapito dalla mafia a Palermo il 16 settembre 1970 e mai più ritrovato. Ogni evento si è aperto con un volontario che diceva: “Pagare il pizzo elimina la libertà. Acquistare da un commerciante che paga il pizzo significa finanziare la criminalità organizzata. Scegliamo dove acquistare”. Un messaggio forte, chiaro, che esorta a un cambiamento di mentalità, a una presa di coscienza.
Si raccontano il terribile caso di Lea Garofalo, figlia del boss Floriano, che decide di diventare testimone di giustizia, raccontata nel libro di Marika Demaria (edizioni Melampo); le finte follie utilizzate da Cosa Nostra in Tribunale per evitare le responsabilità e ottenere certificati d’incapacità d’intendere e di volere (Mafia da legare di Corrado De Rosa e Laura Galesi, Sperling&Kupfer); le storie delle due sindache, Elisabetta Tripodi (Rosarno) e Maria Concetta Lanzetta (Monasterace), raccolte da Goffredo Buccini in L’Italia quaggiù (Laterza) e di cui “il Reportage” ha parlato nel numero dell’ottobre scorso nel servizio intitolato “Quelle donne coraggiose che sfidano la ‘ndrangheta” di Federica Tourn. “Ci dicono che siamo sindache antimafia: che razza di definizione – sorridono – chi si può dire a favore?”. C’è poi Gaetano Di Vaio, ex pregiudicato, oggi produttore cinematografico di successo, regista, attore, persino scrittore con Einaudi (Non mi avrete mai, scritto con Guido Lombardi, in uscita il 9 luglio) che davanti al pubblico, presente suo figlio, racconta con voce roca il suo cambiamento. Infine, il ministro per i Beni e le attività culturali, Massimo Bray, chiude le giornate del Festival con un intervento giudicato piuttosto tiepido nel quale preferisce soffermarsi su Dante e Benigni.
Qui, dal centro di Lamezia Terme, non si vede il mare, che pure sta a due passi. Le istituzioni, carabinieri, polizia, non hanno una sede. Si arrangiano. Dopo tre edizioni a Lamezia, “Trame”, se tutto va bene, si farà anche a Milano in settembre.