L’amore al tempo dell’odio | di Florian Illies (Marsilio)
Gli anni che vanno dal 1929 allo scoppio della Seconda guerra mondiale furono anni di straordinario fervore artistico e culturale, in cui vennero alla luce quelli che sarebbero diventati capolavori dell’arte, della musica e della letteratura internazionale. Ma sono anche gli anni vissuti sotto l’artiglio della ferocia nazifascita. In ogni caso, tra i più significativi del nostro Novecento. In L’amore al tempo dell’odio, Florian Illies racconta il respiro di questo tumultuoso passaggio storico attraverso gli amori dei grandi protagonisti della scena artistica, letteraria e politica del tempo. Lo vediamo seguire i passi di Jean Paul Sartre nell’estate del 1929 a Parigi quando incontra per la prima volta Simone de Beauvoir e se ne innamora perdutamente. L’8 luglio del 1929 per l’appunto, fuori dalle mura della Sorbona, Simone e Jean-Paul si incontrano, per preparare l’orale dell’esame di ammissione all’École Normale Supérieure. È René Maheu a presentarli, un amico comune, l’unico dei tre che non passerà la prova. E proprio in quel giorno di luglio, Sartre e Maheu conieranno il soprannome che Simone porterà per tutta la vita, “le castor”. Osserviamo Pablo Picasso nel piccolo studio all’11 di Rue de Liege mentre – sposato con la ballerina Olga Chochlova – ritrae la giovane amante Marie Thérèse Walter, mentre a Berlino Marlene Dietrich porta in scena ogni sera Fidanzati impossibili di George Bernard Shaw. Theodor Adorno in quello stesso tempo si fidanza con la berlinese Margharete Karplus, amica intima di Bertolt Brecht, Kurt Weill e, soprattutto, Walter Benjamin. Ancora nel 1929 Cole Porter scriverà What is this thing called love?, mentre Bertold Brecht (tra un’amante e l’altra) il 10 aprile di quello stesso anno sposerà a Berlino Helene Weigel, dalla quale ha già avuto un figlio. Quando Anais Nin e il marito Hugo Gulier si trasferiscono a Parigi negli anni Venti, stabilendosi in un appartamento a due passi dal cimitero di Montparnasse, la scrittrice non è entusiasta né della sua vita coniugale né di Parigi. Si dedica febbrilmente alla lettura di Lawrence e alla scrittura del suo diario nel quale annota “questo sprofondare nel caos è uno dei tratti caratteristici della nostra epoca”. Ed è una lettura acuta e preveggente, la sua. Sono anni questi che corrono troppo veloci verso l’orrore del nazifascismo e del conflitto aperto che sconvolgerà l’Europa, anni in cui si vive freneticamente il presente perché si percepisce l’ombra inquietante e macabra del futuro. Maria Camilla Brunetti
L’ultimo atto del signor Beckett | di Maylis Besserie (Voland)
Samuel Beckett trascorse gli ultimi mesi della sua vita in una casa di riposo parigina, che si trova per l’esattezza in rue Rémy-Dumoncel, Le Tiers Temps. In L’ultimo atto del signor Beckett, la produttrice radiofonica Maylis Besserie, al suo esordio letterario, ne immagina i gesti, i pensieri, i ricordi, traendo spunto dalla sua vita e dalla sua opera. Lo stile è piano, asciutto, e in molti punti mimetico a quello dello scrittore irlandese; la narrazione procede per associazioni di idee, alternando al presente sogni e flashback, personaggi reali e immaginari che visitano, come fantasmi, il morente, insieme alla continua processione di medici e infermiere. Gli attori principali che si muovono nel “teatro” della memoria di Beckett sono, innanzitutto, la moglie Suzanne, morta pochi mesi prima di lui, il suo maestro James Joyce e Buster Keaton, quest’ultimo attraverso la rievocazione, scena per scena, del documentario Film, di cui lo stesso Beckett scrisse la sceneggiatura. Tradotto in italiano da Daniele Petruccioli e pubblicato da Voland, L’ultimo atto del signor Beckett (“Le tiers temps” il titolo originale, come il nome della casa di riposto e per la ripartizione del romanzo in tre atti) è un romanzo che vede per la prima volta Beckett nelle vesti di personaggio, il quale – ascoltando le preghiere della vicina – esclama: “Bah. Io mi interesso a Dio come dei primi calzini di Napoleone. Del primo torto subìto. Della prima volta che ho preso lo scolo”. Riccardo De Gennaro
Trema la notte | di Nadia Terranova (Einaudi)
L’Italia è tutta sismica: non c’è bambino che non abbia memoria della sua prima scossa come di un momento di perdita di controllo e saldezza sulla terra, che letteralmente balla sotto i piedi.
Per Nicola, uno dei due protagonisti del romanzo di Nadia Terranova, Trema la notte, si tratterà di un trauma non peggiore, negli effetti, di quello che vive ogni notte, vittima della superstizione di una madre che lo crede creatura demonica e che dunque lo tiene a dormire incatenato, in cantina. Non mancando, peraltro, di nutrirlo (alla lettera) delle premure tipicamente italiote che Giorgio Manganelli reputava nel migliore dei casi asfissianti, nel peggiore (cioè nel suo) cannibaliche. Barbara, l’altro personaggio (che si trova gli occhi di Nicola addosso mentre subisce un morantiano stupro sulla nave che avrebbe dovuto trarla in salvo), è una giovane donna alle prese con un destino già apparecchiato per lei dal padre, cui tenta di opporsi coi libri e le fantasie di fuga. Finirà, dopo il terremoto, in un particolarissimo gineceo che la aiuterà a resistere e a ritrovarsi. Non è nella trama, però, la forza del libro, che sul piano della lingua privilegia i toni sostenuti e gli accenti sentimentali (non sentimentalistici, però). Molto a fuoco sono gli stacchi e le descrizioni: degli stati d’animo come degli scenari di quella terra di mezzo, in cui, senza più radicamento né abito (“così eravamo chiamati: notizia”), si è più liberi di sicuro, e forse (ma l’autrice non si sente di assicurarcelo) più felici. Gilda Policastro
Divorzio di velluto | di Jana Karšaiová (Feltrinelli)
Difficile dimenticare i protagonisti di questo romanzo d’esordio. Jana Karšaiová, nata a Bratislava nel 1978, attraverso le vite intrecciate di una donna e del suo uomo, della sua famiglia e dei loro amici, lega a filo doppio anche la vita di un paese, la Cecoslovacchia, diviso nelle due parti della Slovacchia e Repubblica Ceca dopo il noto “divorzio di velluto”. Le vicissitudini esistenziali di Katarìna e il marito Eugen, della sorella di lei Dora, delle amiche dell’università Viera e del migliore amico di lui, Lukáš, ci vengono restituiti sulla pagina con una grazia e uno sguardo capaci di far emergere le quinte della storia, il disintegrarsi di un orizzonte comune e le fratture, le incomprensioni, le ripartenze che sempre contraddistinguono un periodo di profonda trasformazione. Ma la fine di un amore, la presa di coscienza di un tempo andato che non tornerà mai più (cristallizzato nel trasferimento in America della sorella di Katarìna, Dora), le trasformazioni e i fermenti di un Paese in mutamento irreversibile non potrebbero darsi senza una lingua e una voce matura, già in grado di accompagnare la potenza di uno sguardo altrettanto convincente. È la scrittura, quindi, la lingua, fra i personaggi più sorprendenti del romanzo. E che questo avvenga nel segno di una lingua altra, l’italiano, imparato da autodidatta, è un orizzonte a cui guardare con ammirazione e attenzione. Raffaella D’Elia
Le ultime parole di Falcone e Borsellino | a cura di Antonella Mascali | (Chiarelettere)
Due uomini a un tavolo, sorridenti, le teste vicine: Falcone e Borsellino, nella foto più celebre e più stampata. Poi ci sono sempre loro due dentro l’ascensore del Palazzo di Giustizia di Palermo che fanno su e giù, lontani da orecchie indiscrete. Seguendo il denaro nelle banche, hanno scoperto i laboratori d’eroina, parecchi soldi, la collusione coi politici siciliani e nazionali e il riciclaggio. Sono stati già condannati a morte. Come li chiama il procuratore Scarpinato, che li conobbe bene, sono rumori fuori scena, immagini che non vedremo mai, due uomini già isolati, attaccati da stampa, politica e la magistratura che ne boicotta l’operato stesso, smantellando il pool ideato da Rocco Chinnici. Nella lunga prefazione, Scarpinato mette insieme i pezzi, Cosa Nostra, la Loggia P2, Gladio, sottolineando come sia necessario vedere nell’intero corpo istituzionale, nei fuori scena. Al di là di un mafia fatta di pizzini, santi, riti di sangue e casolari in campagna stracolmi di provole, la realtà di una Cosa nostra delle istituzioni, del Parlamento, il riciclaggio dello Ior e le banche svizzere. Nulla sarebbe potuto accadere senza patti e trattative tra più mondi compresenti e complici. E gli interventi celebri, le parole, i pensieri di Falcone e Borsellino, letti oggi, ci regalano una riflessione ancora più lucida e sul nostro presente. Giuseppe Scatà
Tutte le recensioni sono pubblicate su Reportage numero 51 (aprile-giugno 2022), acquistabile in libreria e qui in versione cartacea e digitale.