Le fotografie di Dmitry Markov, dedicate ai bambini russi, esprimono una malinconica nostalgia, l’epoca in cui non sapevamo che cosa sarebbe stato di noi nel mondo: “Eravamo abbandonati a noi stessi, i nostri genitori immaginavano vagamente come passavamo il tempo”
La mia infanzia l’ho trascorsa lungo il recinto della fabbrica di produzione tessile, appena fuori Mosca. Il perimetro di questa struttura di cemento armato cominciava subito dopo i cortili del villaggio e proseguiva lungo il fiume nel quale si sversavano i liquami degli scarichi. Era un posto pieno di misteri e la sera attirava i ragazzi annoiati. Questo era il nostro posto. Gli adulti raramente passavano lungo il recinto, per questo motivo le nostre esperienze d’infanzia, dal fondere il piombo alle prime e imbranate prove di intossicamento con la colla avvenivano lì. Il nostro villaggio, negli anni ‘90, era pietoso. Le palazzine a due piani vecchie e decrepite, un paio di negozi e il cavalcavia che portava sull’altro lato del fiume. Dopo il crollo dell’Urss e la chiusura della fabbrica, gli adulti con fatica, si adeguarono al nuovo stile di vita (o per meglio dire, alla sua completa assenza). Una parte di loro cercava disperatamente di guadagnarsi da vivere, altri abusavano di alcol, altri ancora, ed era il caso più comune, facevano entrambe le cose. Eravamo abbandonati a noi stessi: i genitori immaginavano vagamente come passavamo il nostro tempo. Andavamo in giro nei cantieri abbandonati senza una meta, correvamo sui tetti dei garage e raccoglievamo le bottiglie di vetro. (…)
ph. Il mare di Pskov.
Il fotoreportage completo è pubblicato su Reportage numero 41, acquistabile in versione cartacea e in digitale.