Un giorno nella vita di Abed Salama | di Nathan Thrall (Neri Pozza)
Con Un giorno nella vita di Abed Salama. Anatomia di una tragedia a Gerusalemme (Neri Pozza, trad. di Christian Pastore) Nathan Thrall, scrittore e giornalista ebreo statunitense, da anni residente a Gerusalemme, ha vinto il Premio Pulitzer per la saggistica nel 2024. Nelle pagine del suo libro, nel quale affronta fatti realmente accaduti, è racchiusa la tragedia dell’occupazione israeliana in Palestina e del regime di apartheid che lo Stato israeliano impone ai cittadini palestinesi. Thrall conosce profondamente la realtà della quale scrive, non solo perché vive da molti anni a Gerusalemme ma anche per essere stato a lungo il direttore dell’Arab-Israeli Project all’interno dell’International crisis group – il think tank internazionale che studia le aree più conflittuali del pianeta nella ricerca di soluzioni di pace e dialogo – per il quale dal 2010 al 2020 si è occupato di Israele, Cisgiordania e Gaza. È un giorno di metà febbraio del 2012 quando su Jaba Road, nei pressi dell’omonimo check-point nell’area metropolitana di Gerusalemme, un autobus che trasporta i bambini palestinesi di una scuola materna in gita verso un parco giochi nell’area nord della città, viene travolto da un camion ribaltandosi su un fianco. In brevissimo tempo il pullman è avvolto dalle fiamme. I soccorsi ufficiali, in quell’area controllata da Israele, tardano ad arrivare e il pullman brucia per più di mezz’ora. Il centro narrativo del libro è l’odissea di Abed Salama nel tentativo di riuscire ad avere notizie di suo figlio, il piccolo Milad, che ha solo cinque anni ed era sull’autobus insieme ai suoi compagni di scuola. La narrazione porta alla luce la ferocia delle regole dell’occupazione israeliana con un registro stilistico che si avvale di una dettagliatissima ricostruzione del contesto storico, geografico e politico all’interno del quale gli eventi accadono. Con lo spirito di indagine di un reporter ossessionato dai dettagli, Thrall raccoglie decine di testimonianze, si avvale di mappe e toponomastica, attinge a ogni strumento analitico per comporre il mosaico di una terra soggiogata dalla brutalità delle logiche di apartheid. Indaga le fonti orali e storiche, ricostruisce i fatti con la perizia di un esperto forense e la profondità di sguardo di uno scrittore profondamente mosso dalla tragedia che racconta. Nel comporre l’anatomia di questa tragedia gerosolimitana, Thrall consegna ai lettore un testo di potenza assoluta e di maestosa dignità, dentro la ferita di una terra martoriata, senza giustizia e quindi senza pace. Maria Camilla Brunetti
Demon Copperhead | di Barbara Kingsolver (Neri Pozza)
Il romanzo di Barbara Kingsolver racconta la vita di Demon Copperhead, un ragazzino americano, un tipico hillbilly (campagnolo) come lui stesso si definisce, che vive in una contea degli Appalachi, in passato un rinomato centro estrattivo che con la chiusura delle miniere è diventato un luogo di declino socio-economico. Fin dall’infanzia Demon conosce la fame, la precarietà dei servizi sociali, la mancanza di prospettive per il futuro tranne quelle di diventare una star del football o un tossicodipendente. Ma non c’è solo sofferenza nella sua vita e ogni tanto conosce sprazzi di gioia attraverso inaspettati incontri, come quello con la coppia di insegnanti o epifanie artistiche, quando disegna i fumetti di supereroi. Un percorso esistenziale fatto di cadute e rinascite che ricorda quello di David Copperfield, un esplicito riferimento fin dal titolo, anche se il romanzo può essere goduto senza aver letto il capolavoro di Dickens. Barbara Kingsolver, da sempre impegnata nell’attivismo politico e ambientale, pone al centro della narrazione il flagello dell’Oxycontin, un antidolorifico oppioide, che dagli anni ’90 ha fatto una strage di morti per overdose, perché prescritto con estrema facilità a chiunque. Si tratta di uno dei più grandi scandali della storia americana, da pochi anni anche raccontato dal cinema come dimostrano Tutta la bellezza e il dolore di Laura Poitras o la serie tv Painkiller. Simona Almerini
Il vero nome di Rosamund Fisher | di Simona Dolce (Mondadori)
Rosamund Fischer è la bambina che Inge Brigitte, in fuga dalla Germania dopo la fine della Seconda guerra mondiale, conosce sul treno che da Vienna la porta in Italia. Brigitte fugge da un terribile passato, che non potrà mai dimenticare, ma che deve nascondere. Altri non è che la figlia di Rudolph Höss, il “boia” di Auschwitz, il campo di concentramento nazista adiacente al quale sorgeva la villetta di famiglia. A Merano l’impiegato della Croce rossa internazionale le chiede come si chiama. Lei esita un attimo e risponde: Rosamund Fischer. Il vero nome di Rosamund Fischer di Simona Dolce è la storia, raccontata come un’autobiografia sospesa tra fiction e realtà, di questa donna, che per quasi tutta la vita (il padre venne condannato a morte per impiccagione il 2 aprile 1947) tenne nascosta la sua identità. Fino a quando non ricevette la telefonata di un giornalista tedesco che la chiamò con il suo vero nome. Una volta smascherata decise di raccontare la verità. Dapprima trovò rifugio nella Spagna di Franco, dove divenne indossatrice per Balenciaga. Qui incontrò l’uomo che sposerà e con cui vivrà – convinta che non sarebbe mai stata scoperta – ad Arlington, in Virginia. Simona Dolce non si limita a ricostruire i segreti anni della nuova vita di Inge, ma scava anche nella sua infanzia e nel rapporto d’affetto col padre, un amore che la costringe a dubitare dei crimini nazisti. Al cinema la raccapricciante vicenda della villetta è raccontata dal film “La zona di interesse” di Jonathan Glazer. Riccardo De Gennaro
Lo splendore | di Pier Paolo di Mino (Laurana)
Terminata la lettura de Lo splendore di Pier Paolo Di Mino pare legittimo domandarsi che libro sia, questo primo dei sette che gli terranno dietro: progetto monstrum e per molti aspetti de-genere, nel senso di non incasellabile in un genere e di “degenerato”, in cui abbondano violenza, sesso, morte, ma senza darlo troppo a vedere, con una scrittura ironica che riscatta la gravitas della materia. Anche su quest’ultima è difficile pronunciarsi, magari rispondendo alla domanda classica del lettore (di cosa parla), perché il libro ambisce a contenere la storia del mondo e dell’uomo, come si fossero riuniti i tre tragici per concepirlo, shakerando le rispettive istanze cosmologiche, esistenziali e relazionali. L’altro modello ovvio sono le Scritture e la letteratura sapienziale, ma si potrebbe dire anche solo la letteratura: la vita dalla specola della narrazione. Non a caso una definizione metanarrativa si consegna a due personaggi iperletterari, la coppia Gustav (sadiano, se non sadico) e Gérard (il coadiuvante): “C’è tutto il mondo […] le nostre vite sono una storia, una storia fatta di parole. Invece in questo libro io vedo immagini, immagini che sono simboli”. A differenza del famigerato “libro azzurro”, quello che leggiamo ha un intreccio di parole volte a ricostruire genealogie, con esito circolare emblematico del senso destinale e allo stesso tempo enigmatico: cosa vuol dire il titolo, ricorrente in punti strategici, sarà il seguito a chiarirlo? Non ci resta che aspettare il prossimo splendore. Gilda Policastro
Guerre culturali e neoliberismo | di Mimmo Cangiano (Nottetempo)
La crisi del pensiero occidentale è messa a fuoco nel libro di Mimmo Cangiano che sviscera il tema delle attuali culture wars. Se la guerra è diventata uno statuto intrinseco della cultura, ciò significa che la cultura stessa, come orizzonte, è entrata in un nuovo assetto. Certamente, il dominio del pensiero logico-strumentale (degli algoritmi sulle idee/ideologie) ha detonato l’habitus tradizionale della cultura: ma come possiamo rapportarci con la sua nuova fisionomia? Cangiano svolge una ricostruzione storica di fenomeni come il postmodernismo, la lotta di classe, le questioni identitarie che comprendono il razzismo e il sessismo, la funzione della cosiddetta theory. Nella sua analisi, questi hanno portato a conflitti che restano senza una vera risoluzione, fluttuano nelle opinioni dimenticando i fatti, a causa di logiche economiche e politiche il cui interesse è mantenere una acriticità globale. Per Cangiano, allora, occorre rileggere questi fenomeni nell’ottica di un materialismo storico: i processi produttivi, sociali ed espressivi sono reali; non devono trarre in inganno le loro rappresentazioni simboliche, propagate dal neoliberalismo e dal culturalismo, che tendono a svuotarli non solo di credibilità, ma anche di valore morale e dignità. Si pensi agli effetti della cancel culture sull’informazione e sulla politica. Perciò né alla cultura né all’economia può essere tolta un’oggettività materiale, su cui fondare il loro impatto nella storia, cioè la loro politica. Maria Borio