Mentre a Plaza de Mayo, ogni giovedì, sfilano ancora le madri dei desaparecidos, la sensazione è che il governo ultraliberista, tra privatizzazioni e negazionismo, voglia riportare il Paese ai suoi anni più bui. Un programma di tagli alla scuola pubblica, alla sanità, all’arte, alla cultura. Il tango come forma di resistenza.
Ero a Buenos Aires quando Javier Milei divenne presidente della Repubblica Argentina, il dieci dicembre dell’anno scorso. Quel pomeriggio andai, incuriosito, alla piazza del Congresso, per sentire il suo primo discorso pubblico sotto un sole già estivo che infuocava le strade intorno alla solenne e un po’ sinistra cupola del Campidoglio. Il suo popolo, i suoi elettori – moltissimi i giovani, festanti – osservavano in estasi questo piccolo uomo goffo, inelegante, che con un ciuffo di capelli inutilmente baldanzoso preannunciava proprio a loro – e non certo alla “casta”, il nemico immaginario contro cui aveva costruito, con tanto di motosega, tutta la sua campagna elettorale – l’arrivo di anni estremi, difficilissimi. Avrebbe privatizzato tutto quello che si poteva privatizzare. Avrebbe tolto qualsiasi sussidio pubblico proprio a loro, che, noncuranti, lo applaudivano. Il suo programma, che alternava passaggi di economia politica a lampi profetici costruiti attraverso citazioni bibliche dal terzo libro dei Maccabei, doveva essere accettato proprio da loro come un sacrificio necessario. Sarebbero tornati ad essere protagonisti di un grande Paese non più vittima di politiche pubbliche nefaste, perché “collettivistiche”: Viva la libertad caracho!
Dopo aver ascoltato questo discorso delirante, a metà strada fra Mario Monti e Osho, raggiungo Daniel vicino al porto per un aperitivo in cima ad uno dei grattacieli liberty di Buenos Aires; testimonianza architettonica di quello che fu questa metropoli un secolo fa, quando gareggiava con New York per diventare la capitale del mondo. Daniel è un intellettuale pubblico, esponente di quella sinistra cosmopolita e radicale, ormai minoritaria ovunque nel mondo. È scrittore, saggista; collabora con Pagina12 – quotidiano indipendente simile al nostro il manifesto – ed è professore di letteratura comparata alla Uba, la prestigiosa università pubblica di Buenos Aires. “Sono cresciuto durante la dittatura militare di Videla. Avevo trent’anni negli anni folli di Menem. Sopravviverò anche a questa farsa. Che è violenta e inconsistente come una tempesta estiva”. Daniel è un uomo sagace. Ha più di sessant’anni, ma con ancora la vivacità giocosa, e quasi teppistica, di un giovane militante politico. (…)
Ph. La “ronda” delle Madri dei desaparecidos che si tiene ogni giovedì, dal 1976, a Plaza de Mayo (Buenos Aires). Lo striscione dice: “La mancanza di lavoro è un crimine”.
Il reportage completo è pubblicato su Reportage numero 60 (ottobre – dicembre 2024), acquistabile qui in formato cartaceo e in digitale.