Trilogia di Thomas | di Vitaliano Trevisan (Einaudi)
Tra le inclinazioni o vere e proprie ossessioni di Vitaliano Trevisan c’era quella di contrastare la narrazione fin quasi a eliminarla: “La traccia emozionale diventa struttura, non c’è storia”, ebbe a dire, in un’intervista, del proprio adattamento shakespeariano presentato a un festival sardo nel 2018. I personaggi in quel caso venivano colti nel momento del crollo, così come ne Il ponte, terza parte della cosiddetta Trilogia di Thomas, che Einaudi ha ricompattato post mortem con I quindicimila passi e Un mondo meraviglioso. L’idea di “monologo esteriore” è l’altro modo che l’autore adoperava per definire tutto ciò che nelle trame abituali dei romanzi non entra e che si pone invece al centro di tutti i suoi non romanzi, cominciando proprio da questi primi tre, in cui Trevisan mostra una capacità sorprendente di basare l’andamento drammatico sulla scrittura. In un passaggio di Un mondo meraviglioso vita e scrittura si stringono in una morsa insolubile e chi narra si dice disposto a una scrittura che non preveda la vita più che il contrario. È un narratore angosciastico alla Manganelli? Potremmo dirlo ilarotragico: spesso fa ridere, talvolta fa paura oppure fa ridere di paura, come nella scena del pescatore che forse sarà gettato nel fiume ma forse no, nel romanzo appena citato. La scrittura di Trevisan, a ben vedere, non trasmette pacificazione, né soltanto angoscia, ma più ansia di pensiero, quel ragionamento in moto incessante tipico dei pazzi, come ha ricordato lui stesso in più occasioni. L’ironia è nelle cose e le cose sono sempre terribili, dai rapporti familiari su cui indugia a partire dai Quindicimila passi fino al “bestiario”, con gli sgozzamenti della macelleria domestica (nel più tardo Madre con cuscino), metafora del rifiuto generalizzato delle costrizioni e finzioni sociali come nel postumo Black tulips e nel Pasolini animale-guida de Il ponte. Emblematica è la sequenza metanarrativa del luccio in Un mondo meraviglioso: chi narra non è sicuro di averlo visto, forse lo ha ricordato o lo ha immaginato. Nell’intervista del 2018 Trevisan sottolineava come la paura per le cose reali fosse nulla di fronte all’immaginato: una considerazione sinistra, col senno di poi. La Trilogia ha il merito di sottrarci al delirio congetturale cui l’autore stesso ci induce, restituendo consistenza alla voce dei suoi personaggi: la scrittura ha vinto sulla vita, ma Thomas può continuare a parlarci, magari con in sottofondo la musica (antifrastica) di A wonderful word. Gilda Policastro
La vita dell’altro | di Enrico Terrinoni (Bompiani)
La vita dell’altro è una vera e propria inchiesta sull’amicizia tra Italo Svevo e James Joyce. A “scavare” nei segreti tra i due grandi scrittori è Enrico Terrinoni, che non solo è uno dei massimi studiosi della vita e dell’opera dell’irlandese, ma anche l’autore della più vivace traduzione dell’Ulisse e – con Fabio Pedone – il traduttore dell’intraducibile Finnegans wake. Nelle prime pagine Terrinoni ci consegna una delle prove più evidenti dell’amicizia tra i due, sottolineando che ne La coscienza di Zeno, la prima “ultima sigaretta” di Zeno Cosini è stata fumata un 2 febbraio, giorno di compleanno del dublinese, che aveva particolarmente a cuore questa ricorrenza. È, questo, un segnale di quel “parlarsi in silenzio” tra lo scrittore giovane e l’anziano, i quali si conobbero, presumibilmente nel 1907, a Trieste, quando il secondo si rivolse al primo, in fuga da Dublino con la compagna, per perfezionare l’inglese. Joyce, per contro, modella Leopold Bloom, il protagonista dell’Ulisse, principalmente sulla figura del nuovo amico, caratterizzandolo con la fede ebraica, l’amore per il socialismo, la forte gelosia, il carattere mite, l’essere massone, il fatto di avere una sola figlia, un figlio deceduto. Joyce spronò vivamente Svevo a riprendere l’attività letteraria, interrotta molti anni prima dopo l’esito fallimentare di Una vita e di Senilità e, una volta stabilitosi a Parigi, fece conoscere e tradurre l’amico triestino in Francia, lodando senza riserve La coscienza di Zeno (Riccardo De Gennaro)
I confidenti | di Charlotte Gneuss (Iperborea)
Karin e Paul vivono in un piccolo sobborgo di Dresda. Nel 1976 sono adolescenti e innamorati, giovani cittadini della Ddr. Quella che Charlotte Gneuss, scrittrice tedesca nata nel 1992, racconta nel romanzo d’esordio I confidenti (tradotto da Silvia Albesano) è la storia di un primo amore, ma anche di un’adolescenza vissuta in una società soggetta al controllo dei suoi abitanti, delle loro aspirazioni, dei loro desideri. La vita di Karin è scandita dai giorni al liceo, dall’amicizia con Marie, che vuole diventare la prima donna ad andare sulla Luna, dalla cura della sorellina e dal sentimento totalizzante che prova per Paul. A un certo punto, tuttavia, la sua adolescenza, che fino a quel momento nei tratti assomiglia a migliaia di altre, subisce una frattura lacerante.
Dopo avere salutato Paul, che lei immagina sia partito per un fine settimana di escursione in Cecoslovacchia, Karin trova alcuni uomini della Stasi alla porta di casa. Il suo ragazzo, gli dicono, è fuggito all’Ovest. Questa rivelazione, con la voragine che provoca nella vita di Karin, segnerà la fine della sua innocenza. Con una scrittura essenziale che riesce a rendere pienamente la complessità dell’esperienza intima di una giovane vita al cospetto della pressione manipolatoria – ambigua – di una società autoritaria, Gneuss racconta le sfumature della violenza di Stato e quelle ombre che si allungano sui cittadini fino ad accerchiarne ogni anelito di libertà. Maria Camilla Brunetti
Dove la luce | di Carmen Pellegrino (La Nave di Teseo)
Federico Caffè è stato un importante economista italiano che si è speso per un’idea di lavoro sgretolata dal liberismo degli anni Ottanta. Nel romanzo Dove la luce di Carmen Pellegrino, è lui il protagonista, ma la sua figura biografica potrebbe essere mescolata a molte altre. È chiamato il Professore, con la maiuscola, incarna il maestro di una civiltà divenuta impossibile, in cui educare e pensare al bene comune si potevano considerare valori imprescindibili. Il libro non è, dunque, una biografia in senso stretto, ma la narrazione di un’allegoria storica: quella di un uomo che conosce il significato del profitto e concepisce l’economia come scienza sana per l’individuo e la comunità, non una strategia finalizzata al guadagno che ci rende homo homini lupus. Nella notte tra il 14 e il 15 aprile 1987, come si sa, Caffè scompare misteriosamente e nessuno lo vedrà più. L’autrice immagina che segua un certo Milo, un senzatetto che vive vicino a San Pietro. Non siamo sicuri, tuttavia, che questa sua scelta sia una conversione esistenziale, un cambiamento di stile di vita a favore del bene. Dove la luce cerca di mettere in questione tutti gli habitus che l’Occidente ha strappato alle proprie radici autentiche e il consumismo ha ridotto a un pallido riflesso di superficie. La luce – il senso – sta nel profondo. Così come il significato dell’economia – e della morale, che non esiste nella dura natura, ma che la nostra specie ha saputo darsi. La luce è ritrovare l’intelligenza. Maria Borio
Marguerite è stata qui | di Eugenio Murrali (Neri Pozza)
Marguerite è stata qui non è una biografia classica, ma una composizione frastagliata di ricordi (di chi ha conosciuto Yourcenar) e di riflessioni personali dell’autore, il giornalista Eugenio Murrali, che ha svolto approfondite ricerche in tutti i luoghi in cui lei ha soggiornato. Discendente da una famiglia aristocratica decaduta, fin dalla giovinezza Yourcenar si dedica ai viaggi, all’arte e all’erotismo. Tra le varie passioni citate, quella con una bellissima artista greca e quella più importante, non ricambiata, con il suo primo editore (omosessuale) André Fraigneau. Alla vigilia della Seconda guerra mondiale e del completo esaurimento della sua eredità, la vita di Marguerite, che – trentacinquenne – si trasferisce negli Stati Uniti con Grace Frick, una ricercatrice americana con la quale trascorrerà quarant’anni della sua vita, cambia completamente. A causa delle ristrettezze economiche, è costretta a insegnare qualche anno in un liceo femminile. A quell’epoca scrive Memorie di Adriano, che aveva già cominciato a immaginare a vent’anni ma che portò a termine solo ventisette anni dopo. Il libro, ormai riconosciuto come un capolavoro del Novecento, le regalò un’immensa fama che le permise di girare il mondo con la sua compagna e di diventare la prima donna eletta all’Académie française. Marguerite è stata qui ha il pregio di avvicinare all’universo di Yourcenar chi non ha mai letto le sue opere e creare nuove curiosità in chi già conosce la sua vita e la sua scrittura. Simona Almerini