Durante il viaggio da Uruapan, la “Capitale mondiale dell’avocado”, alle piantagioni di avocado verde oro del Messico, il paesaggio si trasforma. A breve distanza dalla città, le foreste di pini lasciano il posto alle file regolari di alberi di avocado piantati su vaste superfici. Intere colline, un tempo ricoperte da una fitta giungla, sono state disboscate per far posto ad altri alberi di avocado. Nell’aria si sente l’odore acre dei pesticidi e il fumo delle operazioni di bruciatura. Lo stato di Michoacan, grande quanto i Paesi Bassi, soddisfa addirittura il 30 per cento della domanda globale di avocado. Circa quattro quinti di tutti gli avocado consumati negli Stati Uniti provengono da qui. Secondo il ministero dell’Agricoltura e dello Sviluppo messicano, la superficie coltivata ad avocado è aumentata del 448 per cento negli ultimi quarant’anni. Sempre nel viaggio con Pepe, un ingegnere agronomo di poco più di vent’anni, che lavora per un’azienda locale di forniture e consulenza, non appena usciti dall’autostrada, veniamo accolti da un convoglio dell’esercito composto da tre Humvee con mitragliatrici montate e da diverse camionette porta truppe. “Sono solo di facciata”, osserva Pepe, con un pizzico di rassegnazione nella voce: “Il governo ha perso da tempo la sua presa su queste regioni; i cartelli sono i nuovi mediatori di potere”, dice. L’approccio “abbracci e non proiettili” dell’attuale amministrazione si è rivelato infruttuoso nel limitare il potere delle organizzazioni criminali. Il mandato presidenziale di Andres Manuel Lopez Obrador, noto come Amlo, si sta viceversa rivelando come il più sanguinoso nella storia del Paese, con un’impennata degli omicidi del 116 per cento dal 2016 al 2021. Nel frattempo, l’avocado è diventato un simbolo concreto della globalizzazione su cui convergono molteplici interessi. Il nostro viaggio viene continuamente interrotto dai posti di blocco delle bande criminali, che punteggiano la campagna di Michoacan. È difficile determinare l’affiliazione di ognuno. Alcuni sono controllati dal Cing, il famigerato cartello Jalisco new generation, altri dai Los Viagras o dai sedicenti “bravi ragazzi” di Pueblos Unidos. Ma in questo torbido regno del crimine organizzato, i confini tra milizie e cartelli sfumano rapidamente. Il violento controllo sulle vie di rifornimento passa spesso di mano, data la loro importanza strategica nella gestione delle lucrose zone di produzione di avocado. E le piantagioni sono un simbolo di prosperità per pochi e una fonte di angoscia per molti. Come confida un lavoratore: “Si guadagna bene con la raccolta degli avocado, che tuttavia non è priva di rischi. I criminali, consapevoli dei nostri guadagni, ci derubano spesso del salario mensile. Tuttavia, se si rimane discreti e ci si adatta, questo tipo di occupazione è meglio che lasciare la propria famiglia per lavorare in un campo negli Stati Uniti a migliaia di chilometri di distanza da casa”. L’industria dell’avocado, l’“oro verde”, conta circa 70mila posti di lavoro diretti e altri 300mila indiretti in tutto il Messico. La maggior parte dei lavoratori, provenienti soprattutto da comunità indigene di altri Paesi dell’America centrale, guadagna circa 50 pesos (quasi tre dollari) per ogni cassetta raccolta, ma il loro lavoro è alla base di un’industria da 2,5 miliardi di dollari annui, strategica per le esportazioni messicane. (A. J. S.).
Ph. Un incendio doloso della foresta nella regione messicana di Uruapan, dove ogni anno viene dato fuoco illegalmente a tremila ettari di foresta per permettere la coltivazione dell’avocado.
Il servizio completo è pubblicato su Reportage numero 57 (gennaio-marzo 2024), acquistabile qui in formato cartaceo e in digitale.