Intervista a Paolo Di Paolo | Un autore un libro | di Maria Camilla Brunetti

Romanzo senza umani | di Paolo Di Paolo (Feltrinelli)

L’intervista è pubblicata in Reportage numero 57, nella rubrica “Un autore un libro” a cura di Maria Camilla Brunetti

 

Romanzo senza umani si apre con un’immagine straniante e di grande potenza evocativa, un grande lago ghiacciato avvolto nella morsa di un inverno indicibile di alcuni secoli fa, sul quale non si poggia lo sguardo umano. Il romanzo si apre con questa frase: “In assenza di occhi umani, la catasta di uccelli precipitati sul ghiaccio non suscita nessuno stupore”. Come nasce questa immagine?

Nasce proprio dal tentativo di raccontare un paesaggio privo di tracce umane. L’azzardo di neutralizzare, di rendere impercettibile l’umano è però destinato a fallire. Mentre scrivo “in assenza di occhi umani” e descrivo un lago ghiacciato quattro secoli e mezzo fa interviene il mio sguardo umano. “Romanzo senza umani”, in questo senso, è una contraddizione in termini. Scrivere è un gesto integralmente, inevitabilmente umano. Può sembrare un’ovvietà, ma occorre richiamarla nel suo mistero.

Il tema principale di Romanzo senza umani, mi pare sia un’indagine sulla materia di cui si compone la memoria. L’immagine del lago ghiacciato credo possa essere metafora stessa di una certa idea di memoria. È una lettura plausibile?

È una metafora che non ho cercato o definito preliminarmente, ma è come se mi fosse venuta incontro scrivendo. Quando, verso il finale, ho scritto di “lago dell’oblio” mi sono accorto che era maturata pagina dopo pagina. E sì, diventava un’idea di memoria che congela e disgela, non quando lo vogliamo noi.

Mauro Barbi, voce narrante del libro, è uno storico di poco più di quarant’anni, che decide all’improvviso di partire in viaggio per andare a visitare il lago di Costanza, di cui abbiamo parlato. È anche un uomo che improvvisamente decide di “mettere mano” ai suoi ricordi. Trovo una certa specularità tra l’immagine del lago ghiacciato e la condizione umana di Barbi, nel momento in cui il lettore lo conosce. Esiste questo parallelismo?

Sì, è come se l’uomo che interroga i ricordi, che cerca il disgelo del lago memoriale, si accorgesse di una porzione d’inverno che custodisce dentro se stesso. Legami trascurati, interrotti, raffreddati. Una frase di Rabelais che viene fuori nel romanzo forse descrive bene il problema: se c’è un luogo in cui le parole ghiacciano, dev’esserci anche un luogo in cui le parole disgelano. Barbi si mette in cerca di quel luogo. Non è detto che lo trovi.

Barbi, come dicevamo, improvvisamente inizia a comportarsi in modo avventato spinto da una domanda ossessiva. Che cosa ricordano gli altri di noi? Come se lui stesso, e gli umani in senso più esteso, fossero in costante tensione tra versioni multiple di memorie sconnesse. Il confine tra ciò che sappiamo (di noi, degli altri, del tempo passato e di quello “presente”) e ciò che immaginiamo è così labile? Cito a riguardo una frase del testo: “I punti di equilibrio, in un processo maestoso che si rivela eternamente caotico e mai lineare, sono misteriosi e transitori”.

Credo di sì, credo che sia labile. Noi immaginiamo di continuo noi stessi, le cose che ci accadono, quelle che accadono agli altri. Ci raccontiamo a noi stessi modificando e rimodellando le versioni dei fatti. E così a un certo punto si può avere la sensazione di essersi inventati il proprio passato, i propri ricordi: inventati nel senso dell’etimo – dissotterrati, portati alla luce – ma anche in una dimensione di fantasticheria che fa essere incerti su ciò che veramente è stato. Se chiediamo conto agli altri, tutto si complica: proprio perché integrano, smentiscono, chiariscono e nello stesso tempo confondono. Ci restituiscono immagini di noi diverse, versioni alternative dei fatti e della nostra personalità. Pirandello al riguardo ha detto l’essenziale. Ma io ho scavato nello specifico del ricordo: “I tuoi ricordi non sono solo tuoi!”, esclama una voce del romanzo. E quel “non sono solo tuoi” sta a indicare un condominio forzato, l’idea che ciò che ricordo io su di noi deve fare i conti con ciò che ricordi tu su di noi, e via così, aggiungendo di continuo tasselli o perdendone. Barbi, da storico, si ostina a ricomporre, a precisare, rimettere a fuoco. Ma fino a un certo punto pretende soprattutto che gli altri gli confermino la congruenza, l’esattezza di ciò che ricorda lui. Non possono farlo. Ed è giusto così. Quando prova ad abbandonare i panni di “esattore di ricordi”, a superare certi rimpianti e risentimenti, scopre un’altra dimensione. Quella di chi restituisce se stesso al presente, o quantomeno ci prova. E si accorge che, anziché pretendere conferme, potrebbe restituire qualcosa agli altri, offrire come un dono il suo essere stato testimone oculare della loro esistenza. Dello spettacolo della loro vita.

About author