Con i cacciatori di pesci spada nelle acque tra Scilla e Cariddi | Testo e foto di Marco Raccichini

A mantenere viva questa tradizione millenaria, nata con i fenici, resta un piccolo gruppo di pescatori con una decina di imbarcazioni. L’emozionante racconto della lotta per la cattura dell’“imperatore del mare”, che spesso si presenta con la femmina nella stagione dell’accoppiamento, ricorda l’epopea di Moby Dick.

 

La caccia al pesce spada è un’antica tradizione che affonda le sue radici nella cultura fenicia e che è mantenuta ancora viva nello Stretto di Messina da una decina di imbarcazioni, chiamate “feluche”, che fanno capo ai borghi calabresi di Scilla, Bagnara, Palmi e della siciliana Ganzirri. L’appuntamento è all’alba, nel porticciolo di Scilla, il luogo di elezione: la luce sfiora il promontorio del castello Ruffo, dove tutto ha avuto origine. Dopo un quarto d’ora, dalla nebbia spuntano due macchine, che mi lampeggiano. Uno dei pescatori mi chiede se ho con me i panini: non si può andare a caccia senza pane, porterebbe sfortuna. E loro, i cacciatori di pesce spada, sono molto scaramantici.

Salgo a bordo sul fasciame del ponte verde smeraldo e mi guardo intorno: l’imbarcazione sembra fatta ad immagine e somiglianza dell’“imperatore del mare”, il pesce spada. A prua è stata aggiunta una lunga passerella, in parte retrattile, che può arrivare fino a quaranta metri, collegata con un complesso sistema di funi e tiranti all’albero maestro. Servirà per potersi avvicinare il più possibile al pesce, non producendo ombra e in silenzio, facendogli percepire come distanti le vibrazioni prodotte dallo scafo sull’acqua: grazie all’inganno, u nfriccinaturi, anche detto u lanzaturi, potrà scoccare il colpo mortale.  (…)

 

Ph. Momenti della caccia al pesce spada.

 

Il servizio completo è pubblicato su Reportage numero 55 (luglio-settembre 2023), acquistabile qui in formato cartaceo e in digitale.

 

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