Zarifa | di Zarifa Ghafari (Solferino libri)
L’intervista è pubblicata su Reportage numero 54 (aprile-giugno 2023). all’interno della rubrica “Un autore un libro” a cura di Maria Camilla Brunetti
Nel 2018, a soli ventisei anni, sei diventata sindaco di Maidan Shar, capoluogo della provincia di Wardak, un’area sotto controllo talebano a ovest di Kabul. La donna più giovane nella storia dell’Afghanistan ad aver raggiunto questa posizione. Quali esperienze personali ti hanno maggiormente ispirata, durante l’infanzia e l’adolescenza, nella decisione di ricoprire una carica pubblica, a rischio della tua vita e sotto la costante minaccia dei talebani?
Credo che nulla sia possibile nella vita se non si corrono dei rischi, se non ci si mette alla prova e se non si va avanti con tutti gli alti e bassi che ci circondano. Da bambina, da giovane ragazza e infine da donna matura sapevo e so che è importante lottare contro la disuguaglianza, l’ingiustizia, l’estremismo e l’odio per avere un grande presente e un grande futuro per la generazione femminile della comunità, quindi questa conoscenza della mia società, dei suoi bisogni e l’importanza della lotta hanno sempre giocato un grande ruolo nelle mie attività e nei miei risultati, nonostante tutti i rischi.
L’istruzione, soprattutto quella femminile, è sempre stata una priorità del tuo pensiero politico. Hai più volte affermato che “una donna che riceve un’istruzione salva dieci generazioni”. Puoi approfondire questo passaggio?
Credo che se si educa una donna, non si educa solo una persona, ma anche una madre, una sorella, una figlia, una moglie, un’amica, una compagna, una collega e tante altre figure ancora in una sola persona. Perciò, credo che per il bene della comunità, per la pace e per lo sviluppo, sia importante che le donne siano istruite in modo che possano trasmettere le loro conoscenze alle dieci generazioni successive, svolgendo ruoli e ricoprendo personalità diverse nella vita dei loro cari, e questo avrà sicuramente un effetto sul bene della comunità e in generale del Paese.
Nell’agosto 2021, le truppe americane si sono definitivamente ritirate dall’Afghanistan, lasciando il Paese nelle mani dei Talebani. Anche tu sei stata costretta a fuggire e ora vivi in esilio, come rifugiata politica in Germania. Cosa ha significato per te essere costretta a lasciare il Paese per cui ha combattuto con tanto coraggio e come continui la tua battaglia in esilio?
Ho lasciato il mio Paese per la mia famiglia, perché dopo la morte di mio padre ero responsabile per loro e non avevo altra scelta. Ma non appena li ho portati in un rifugio sicuro, ho ricominciato il mio lavoro dal primo giorno della mia vita in esilio. Ho la mia Ong che lavora attivamente in Afghanistan per le donne. Ho scritto il mio libro per raccontare la storia del mio Paese e della lotta delle donne. Ho il mio documentario su Netflix (In Her Hands) e ora sto lavorando a un altro libro incentrato su storie reali di donne afghane. Partecipare a eventi, tene- re conferenze, rappresentare le donne afghane in diverse piattaforme, questi e molti altri sono i fronti su cui sono impegnata ora. Con tutti questi impegni, sono tornata a casa nel febbraio 2022 e ora sto aspettando la fine dei miei impegni già programmati per tornare di nuovo a servire il mio popolo, perché credo che il cambiamento debba venire dall’interno del Paese.
Con il ritorno dei Talebani, lo status delle donne in Afghanistan ha fatto un balzo indietro di venti anni: alle donne sono vietati gli studi superiori e le cariche pubbliche. Sono state bandite dallo sport e scoraggiate dall’uscire di casa senza un parente maschio, oltre ad altri tipi di privazioni. Cosa si può fare per combattere questa terribile situazione e cosa vedi nel futuro del Paese?
Prima di tutto il mondo deve smettere di giocare con l’Afghanistan e il suo popolo come un progetto! L’Afghanistan è un Paese che ha un ruolo fondamentale per la sicurezza, la pace e lo sviluppo mondiali, in quanto cuore dell’Asia, quindi il mondo deve capirlo e smetterla di usare due pesi e due misure nei confronti del mio Paese. Qualunque cosa stiamo attraversando, sicuramente gli afghani hanno avuto un ruolo in tutto questo, ma la maggior parte dei problemi che affliggono le nostre vite, le vite delle donne e dei cittadini, sono stati causati dalle politiche sbagliate, dagli accordi folli e dalle dichiarazioni illogiche dei politici mondiali e dei Paesi coinvolti in Afghanistan. Pertanto, il mondo non deve continuare a giocare: se l’omicidio di una donna in Iran può far sì che tutti si uniscano per sostenere questa battaglia, perché l’omicidio, le torture, i rapimenti e l’imprigionamento di tante donne in Afghanistan non possono scuotere il mondo? Perché la lotta per la libertà di scelta è più importante e viene sostenuta più della lotta per l’istruzione, il pane e la libertà degli esseri umani? Se il mondo è in grado di mantenere la giustizia e di iniziare a sostenere le donne afghane contro un regime estremista, credo che il cambiamento avverrà e lo vedo così chiaramente.