Belle Greene | di Alexandra Lapierre | Edizioni (E/o)
Quella di Belle da Costa Greene, raccontata da Alexandra Lapierre in Belle Greene (Edizioni e/o) è un’avventura straordinaria, per il luogo e la comunità all’interno della quale Belle nacque, per la strada che riuscì a costruirsi e per il ruolo che riuscì a creare per sé all’interno di una delle società più discriminatorie e oppressive del Novecento. Belle nacque nel novembre del 1879 all’interno della comunità nera di Georgetown, a Washington, in una famiglia di musicisti e intellettuali meticci stabilitasi in città già dalla fine del 1700. Ma per la One drop rule – decretata negli Stati Uniti all’inizio del Novecento – una sola goccia di sangue nero nell’albero genealogico di una famiglia ne decretava il rango di coloured e nell’America precedente al Civil rights Acts del 1964, esponeva i neri alle persecuzioni e alla violenza del regime segregazionista. Sebbene la famiglia di Belle venisse considerata nella loro comunità appartenente all’élite intellettuale nera e benché potessero essere scambiati per bianchi per il loro incarnato chiaro, nella società dei bianchi Belle non sarebbe mai potuta essere considerata altro che una ragazza nera.
Quale futuro c’era per ragazze come lei nell’America razzista d’inizio Novecento? Solo diventare donna delle pulizie o governante in casa di bianchi. Ma Belle era nata con un talento raro per lo studio e un amore ossessivo per i libri. Era nata sotto una stella che l’avrebbe portata nel 1924 a diventare nientemeno che la direttrice della prestigiosa Morgan Library, il tempio di erudizione del magnate miliardario John Pierpont Morgan, del quale dal 1905 divenne la protetta. Come era stato possibile? Grazie a quello che tutti, nella comunità nera, conoscevano con il nome di passing. Farsi passare per bianchi, falsificare documenti, tagliare i ponti con la propria comunità di appartenenza, con le proprie origini e con la propria eredità affettiva e culturale. E mantenere questo segreto per sempre, a costo della vita, con tutti. Se scoperto, il passing era un crimine che poteva portare alla forca. Ma è quello che Belle decise di fare – insieme alla madre e ai fratelli – nel 1898. L’inesauribile sete di conoscenza di Belle la condusse a salire tutti i gradini sociali e a farla entrare a pieno titolo nell’alta società newyorkese. Intima di Bernard Berenson, uno dei più illustri esperti d’arte del Novecento, coccolata dai nobili di mezzo mondo, Belle attraversò la vita con il coraggio e l’audacia di chi sa disegnare da sé il proprio destino. Maria Camilla Brunetti
Lettere | di Fiodor Dostoevskij | Il Saggiatore
Possiamo dire che le Lettere di Dostoevskij, pubblicate dal Saggiatore in una nuova edizione pressoché integrale (1.372 pagg.), siano una sorta di autobiografia del maestro russo, che ebbe una vita di estrema sofferenza e di esaltazione. Dostoevskij era propenso a confidarsi e raccontare in via epistolare ciò che stava vivendo agli amici più stretti, alla prima e alla seconda moglie, all’amatissimo fratello maggiore e, insieme a lui, editore di alcune riviste letterarie. Veniamo dunque a sapere che cosa provò davanti al patibolo nel giorno in cui la sua condanna a morte fu convertita dallo zar in quattro anni di lavori forzati, o – nel dettaglio – le sue condizioni di vita in Siberia e, successivamente le tappe dei suoi viaggi in europa (spesso soltanto per giocare nei casinò) o quale romanzo si accingeva a scrivere e da quali vicende nasceva. Il più delle volte le lettere gli servono per chiedere un aiuto economico, in forma di anticipo agli editori o di prestito ai suoi parenti. Scopriamo anche il suo stato di salute e molti lati del suo carattere, ad esempio, quando esordisce come scrittore con Povera gente, una certa vanità che gli veniva dalla convinzione che presto in Russia tutti avrebbero parlato di lui (d’altro canto, nell’occasione, il celebre critico Belinskij lo definì “il nuovo Gogol”). “Ho un carattere terribile – ammette in una di queste sue 455 lettere – però non sempre, solo di tanto in tanto. E questo mi consola”. Riccardo De Gennaro
Matteo Messina Denaro. Latitante di Stato | di Marco Bova | Ponte alle Grazie
Lo chiamano Diabolik, ma anche u siccu, per alcuni è divenuto un’icona pop, per altri un fantasma ricercato in tutto il globo. Marco Bova, analizzando atti processuali, indagini di polizia, dichiarazioni di pentiti, magistrati e investigatori, disegna il profilo di un Matteo Messina Denaro imprendibile, ben protetto da mafia, massoneria e istituzioni tra
errori tanto grossolani da non sembrare più errori. Il boss trapanese nel frattempo detta pizzini vergati a mano, nascosto tra la Costa del Sol, il Sudamerica, New York, in volo sulla manica o semplicemente al riparo di un vecchio casolare di campagna, nell’entroterra siciliano, braccato dalla legge e stanco di nascondersi. Il libro inchiesta descrive, in modo dettagliato, le ricerche compiute da polizia giudiziaria, procure e servizi segreti, mai davvero organizzati tra loro – nonostante il coordinamento fosse il principio aureo sempre raccomandato da Falcone e Borsellino – e spesso stoppate, affossate, demolite (come l’indagine chiave sulle logge massoniche), magari per scongiurare confessioni scomode sugli ultimi decenni della nostra storia, dalle stragi del ‘92 in poi. Un labirinto di fonti preziose inspiegabilmente bruciate, invidie, rivalità e piste false, che porteranno al blitz fallito nel ristorante olandese, con l’arresto erroneo di un sospetto Messina Denaro e l’ennesimo buco nell’acqua, ultimo atto di una caccia troppo ingarbugliata a un boss troppo scaltro, che molti ancora vogliono uccel di bosco. Giuseppe Scatà
Di chi è la colpa | di Alessandro Piperno | Mondadori
Il primo aspetto che non lascia indifferenti appena si intraprende la lettura del nuovo romanzo di Alessandro Piperno è un uso intelligente della prima persona. La storia di un bambino, a Roma, attraverso il cui sguardo riescono a passare ben tre generazioni e oltre mezzo secolo d’Italia, è condotta con l’impressione disinvolta di un’autobiografia che via via si inspessisce di riflessioni para-filosofiche e di romanzesco. Non sapremo mai fino a che punto sia autentico il punto di vista del piccolo protagonista, né sapremo rispondere in modo secco alla domanda del titolo – Di chi è la colpa? – o a quanto sia giusto considerarsi vittime o responsabili della propria infelicità, a come definire a tutto tondo la nostra identità. Si chiede al lettore di mettersi faccia a faccia con un’opera che pone l’immaginario su un piano in cui gli indizi della realtà non hanno immediato riscontro nella realtà e di riflettere su come l’identità di un personaggio e quella di una storia possano essere energiche solo in un processo di necessarie trasformazioni. Il felice rapporto tra il bambino e il padre è parallelo – quasi subliminale – a quello asfittico con la madre; la sua passione per la musica è tergiversale rispetto a quanto vive con i suoi coetanei e a scuola; il colpo di scena noir, circa a metà romanzo, crea una seconda storia specularmente opposta alla prima, come se l’una e l’altra non si incontrassero mai, pur restando sempre una a fianco dell’altra. Maria Borio
Veronica e il diavolo | di Fernanda Alfieri | Einaudi
Parte dal ritrovamento fortuito di un manoscritto la narrazione in prima persona di Fernanda Alfieri, storica che rivela spiccate doti di ritrattista: di luoghi, personaggi, atmosfere che sostanziano un racconto intessuto, manzonianamente, di “storia e invenzione”. Esorcisazione è il titolo del manoscritto, secondo il rituale agito sul corpo della diciannovenne romana Veronica Hamerani nel 1834. ovvero: identificazione della presenza del maligno e tentativo di espulsione dal corpo dell’“ossessa”, in una lotta che vede impegnati uomini di Chiesa (tra cui padre Manera, dal cui diario l’autrice attinge testimonianze dirette) e medici (come il dottor Belli, che sospetterà una malattia nervosa o una messinscena). ma è soprattutto alla famiglia dalle nobili ascendenze (stampatori di monete papali) che si dedica con maggior empatia l’autrice: “Sotto quel lenzuolo, c’era sempre una ragazza che soffriva”. Cosa causava a Veronica, “prigioniera del suo corpo”, tutta quella sofferenza? L’autrice non asseconda nessuna ipotesi, né risolvono il caso i gesuiti incaricati dell’esorcismo. Dove solitamente il romanzo tende a proporre uno scioglimento, la storia deve muoversi in regime di “libertà vigilata”, sottolinea l’autrice. Veronica resta l’emblema del mistero: “Dubbi e sospetti di finzione”, come scriveva padre Manera. Ma questi dubbi inevasi, per la narrazione, sono punti a favore. Gilda Policastro
Tutte le recensioni sono pubblicate su Reportage numero 49 (gennaio-marzo 2022), acquistabile in libreria e qui in versione cartacea e digitale.