Hagard | di Lukas Bärfuss | L’Orma editore
Che cosa è successo a Philip, perché si comporta in questo modo, si chiede un suo amico che in Hagard è la voce narrante. Non che gliene importi molto, potrebbe anche abbandonarlo al suo destino. Il fatto è che ormai si tratta di una sfida: scoprire perché Philip, un agente immobiliare sulla quarantina, a un certo punto, colpito da un paio di ballerine color prugna, si è messo a inseguirle. O meglio, a inseguire la ragazza che le porta ai piedi e di cui, proprio perché inseguitore, non ha mai veduto in faccia. È tale la sua ossessione che a poco a poco la sua vita diventa una funzione della vita della ragazza, non risponde più al cellulare, lascia perdere il lavoro, dorme all’aperto. Perché? Qual è l’enigma? C’è un segreto che a tutti gli altri è nascosto? A questo segreto vuole a tutti i costi arrivare l’amico che racconta il delirio di Philip come se si trattasse di un’inchiesta. Ma tutte le volte che crede di essere vicino alla soluzione scopre di aver fallito. Eppure: “Voglio rischiare, tentare ancora una volta, far risorgere gli eventi”, dice. Ed è chiaro fin dal principio che il romanzo è una metafora dello scrivere e il suo autore, lo svizzero Lukas Bärfuss, non cerca l’identificazione del lettore con Philip: il lettore, piuttosto, è paragonabile a Teseo, che Arianna si rifiuta di aiutare e che in queste pagine si smarrirà. Philip, d’altronde, non è un eroe, ma piuttosto un bambino impaurito che cammina ancora dietro alla mamma ed è questo il suo amore. Riccardo De Gennaro
Geografie | di Antonella Anedda | Garzanti
Geografie di Antonella Anedda, uscito da Garzanti, è un libro di racconti brevi, a metà tra il ritmo della riflessione e quello di un diario. Sussultorie, estatiche negli squarci dove nella narrazione interviene la poesia, dense di dettagli materici e linguistici accumulati come le particelle nell’aria che respiriamo passeggiando, queste prose ridefiniscono il senso contemporaneo dell’abitare e soprattutto, attraverso l’abitare, di comprendere. L’ambiente fisico è ridisegnato. Su una tavolozza che è esteriore e interiore, si cuciono insieme molti luoghi – dalle isole del Mediterraneo al Giappone alla città di Roma – e molti tempi: il quotidiano, dentro a una musica laica e alla pandemia, ma anche percezioni millenarie, andando a ritroso nella storia del pianeta attraverso il Dna dei fossili. “La storia è un’ininterrotta geografia, la geografia è una storia ininterrotta?”: sì, perché né il tempo né lo spazio sono vincolati a una misurazione che separa i rapporti. L’etimologia delle parole si allaccia in continuazione e in modo uido alla natura (“cornice, s.f. dal greco koronís –ídos ‘linea curva, compimento’ […] prob. incrociato con cornix –icis ‘cornacchia’, esistendo in greco […] koróne ‘cornacchia’…”); le specie animali e le piante, indicate con il nome scientifico, portano la traccia dei gesti umani e della violenza che si sono verificati nei loro habitat (“La pozza d’acqua dolce non è lontana da Sant’Anna di Stazzena, un paese tra i platani dove il 12 agosto 1944 i nazisti uccisero per rappresaglia […] Il 12 agosto 2019 arriviamo nel punto più alto, parliamo con un geologo che ci fa da guida […]. Di tutti i nomi di piante rare la sassifraga è quello che ricorre di più”); l’esperienza di un’anonima giornata d’inverno è intessuta di scambi fisici (“Il freddo ci fa spostare come popolazioni primitive. […] Lo sai, l’energia è fatta di pacchetti finiti, la luce è fatta di grani, alcune sostanze, colpite, possono generare una corrente minima. Fotoni”). Le persone e la storia, la flora e la fauna, i sentimenti, la fisica e la chimica si accavallano, si compenetrano, così come il sismografo scrive sul nastro i movimenti della terra. L’autrice li contempla e attraverso di essi osserva una realtà intensificata, ma senza alcunché di mistico, dove spazio e tempo, microcosmo e macrocosmo si avvicendano allo stesso modo delle linee negli esagrammi dell’i- ching. Geografie è un reportage tanto concreto quanto concettuale attraverso quello che una persona può, nel suo limite più onesto, sentire e capire: la ricerca, come un detective, di quanti più indizi favoriscano la verità. Maria Borio
La guerra di Nina | di Imma Vitelli | Longanesi
Imma Vitelli è stata corrispondente di guerra per più di vent’anni. Ha lavorato in alcuni dei più insidiosi scenari di conflitto, dal Libano alla Siria, dall’Iraq all’Afghanistan e al Congo. Con La guerra di Nina firma il suo primo romanzo e lo ambienta nell’estate del 2013 proprio durante una di quelle guerre, quella siriana. Nina, la voce narrante del romanzo, è una giovane giornalista italiana che vive a Beirut e che decide insieme al fidanzato Omar, un fotoreporter siriano, di partire per la Siria per raccontare gli orrori della guerra che sta distruggendo il Paese. Nell’inferno di Aleppo Nina perderà la sua innocenza e molte delle certezze che la rendevano una giovane donna impavida, che credeva di essere immortale. Conoscerà giovani dissidenti che credevano nella libertà e per questo avevano sposato la causa della rivoluzione contro il tiranno Assad, conoscerà i combattenti dell’Esercito libero siriano nel momento dell’entrata in campo dell’Isis e della conseguente radicalizzazione del conflitto. Conoscerà le ambiguità, le contraddizioni e le zone d’ombra che si nascondono in ogni storia, personale quanto collettiva, e capirà che trovare le parole davanti all’orrore a volte è impossibile ed è un dovere che si paga a carissimo prezzo. E proprio a coloro che hanno perso tutto combattendo per la libertà – “Ai vinti della Siria” – il romanzo è dedicato. Maria Camilla Brunetti
Pescirossi e Pescicani | di Sandro Di Domenico | Minimum fax
É la mattina dell’11 agosto 2011 quando un peschereccio, il “Giovanni Padre”, con tre uomini a bordo e appena salpato dal porto di Napoli per la pesca a strascico, viene preso in pieno da una nave mercantile, la “Jolly Grigio”. Non l’abbiamo visto, diranno quelli della nave. Dei tre si salva soltanto un pescatore, ritornato a galla in una bolla d’aria e, per ironia della sorte, l’unico che sarà condannato per l’incidente. Sandro Di Domenico, giovane giornalista napoletano, viene incaricato dalla sua testata di scrivere un pezzo, ma intuisce che l’episodio non è isolato. In Pescirossi e Pescicani, allarga il suo sguardo sui traffici marittimi e comincia a collegare episodi simili, collisioni, morti e naufragi, avvenuti nell’ultimo ventennio nel Mediterraneo, tra Genova, La Spezia, Livorno, Amantea, Alessandria d’Egitto e perfino sulle coste africane della Somalia o del Sudafrica. Tutti hanno in comune un unico denominatore, il nome della nave: Jolly – cambia solo il colore, Rosso, Nero, Grigio, Rubino, Celeste – e la società proprietaria, la Linea Messina di Genova. Interrogando i sopravvissuti, viaggiando per l’Italia e avvalendosi anche delle inchieste avviate sul traffico illecito dei rifiuti tossici dalle procure di Reggio Calabria e Matera, Di Domenico indaga sui carenti controlli portuali e gli interessi legati allo smaltimento illegale dei materiali radioattivi, trasportati nei nostri mari da navi vecchie e scarsamente equipaggiate, che a volte affondano o vanno alla deriva, altre volte scompaiono nel nulla. Giuseppe Scatà
Contro l’impegno | di Walter Siti | Rizzoli
Contro l’impegno è un titolo ingannevole. Molto meno ambiguo sarebbe stato “Contro il buonismo e il politically correct”, di cui – secondo Walter Siti – è oggi infarcita la narrativa, non solo italiana. E naturalmente “a favore” – viceversa – del massimo “impegno” nello scrivere: scrivere, viceversa, è diventato facile, qualcosa che può fare chiunque, prova ne sia il numero di libri che vengono pubblicati ogni mese, buona parte dei quali poveri d’idee e originalità. Con questa raccolta di “saggetti”, come li definisce egli stesso, Siti si propone una verifica dei poteri, per dirla con Fortini: dove sta andando la letteratura e su quale terreno si vuole trascinare il giornalismo, a cominciare da quello televisivo? In particolare, negli ultimi tempi si è fatta strada l’ipotesi che la letteratura debba “riparare il mondo” e che i romanzi debbano essere di conforto al lettore. Ma i romanzi, perlomeno i grandi romanzi, non hanno mai avuto la pretesa di guarire nessuno o di farsi portatori di “messaggi”. Allo stesso modo, il giornalismo deve cercare la verità, non essere un ibrido di vero e di verosimile per ottenere il massimo impatto della “notizia”. Attraverso un’analisi critica dei libri di Saviano, Baricco, Murgia, Carofiglio e altri, ma anche delle regole dei talk-show, Siti procede allo smantellamento della retorica del Bene e del bla-bla quotidiano sui social network: “non c’è più il silenzio necessario per essere parlati”, conclude. Riccardo De Gennaro