Una giornata con Alì, Ahmed e Mahmoud a dieci metri sottoterra tra polvere fine ed escrementi essiccati di pipistrelli. Nel bottino monili, statuette, maschere e, qualche volta, interi sarcofagi. Si stima che il commercio illecito di antichità nel mondo ammonti a sei miliardi di dollari annui, il più redditizio dopo le armi e la droga.
Questa storia deve la sua esistenza a un incontro casuale con un ex ladro di tombe e contrabbandiere di antiquariato che mi ha introdotto nel mondo degli scavatori e dei mercanti di Tebe e Luxor. La cosa, come ci si può aspettare, è stata possibile solo sotto false identità e false pretese. Il mio intermediario non era motivato da guadagni finanziari, lo ha fatto senza ricevere alcun compenso per il suo ruolo centrale in un’impresa piuttosto rischiosa. La sua unica richiesta era che preservassi l’anonimato delle persone. Ci è voluto tempo per accedere a quei luoghi ed era necessario che garantissi la più totale discrezione, prima di tutto perché i furti nelle tombe sono un reato: se catturato, il colpevole rischia una pena detentiva di 25 anni.
Mi trovo in un villaggio povero vicino alla Valle dei Re di Tutankhamon, sulla sponda occidentale del Nilo, ai piedi delle colline di Tebe. Tre ladri di tombe, Ali, Ahmed e Mahmoud, lavorano a dieci metri sottoterra, in condizioni miserabili: l’aria calda e secca satura dell’odore pungente e acre degli escrementi di pipistrello essiccati nel corso di centinaia di anni, è anche carica di una quantità insopportabile di polvere fine. È facile capire che si tratta di un lavoro tossico, massacrante e scomodo, non per i deboli di cuore. Gli uomini possono respirare solo attraverso diversi strati dei loro turbanti. (…)
ph. Tre ladri di tombe egiziani all’opera in un sotterraneo della Valle dei Re.
L’articolo completo è pubblicato su Reportage numero 45, acquistabile in libreria e qui in versione cartacea e in digitale.