“Un autore un libro” — A un passo da Provenzano (Utet)
Troppo spesso pezzi dello Stato sono scesi a patti con Cosa nostra.
Calapà, come e quando nasce l’idea di questo libro?
Nasce anni fa dopo la sentenza di primo grado per l’omicidio di Gino Ilardo, importante capo di Cosa nostra che di fatto era diventato un infiltrato nella mafia, tanto da poter fare arrivare alla cattura di Bernardo Provenzano già nel 1995. Quel processo ha ottenuto gli ergastoli per quattro boss esecutori materiali e mandanti dell’omicidio, ma ha lasciato l’amaro in bocca di un’occasione persa rispetto a tanti enigmi rimasti da decifrare sulla stagione delle stragi dei Corleonesi. L’idea nasce da interminabili chiacchierate catanesi sull’argomento col pm Pasquale Pacifico e con l’ispettore di polizia Alessandro Scuderi, tra un sigaro e l’altro. Era necessario perché a questa storia non è stato dato troppo peso e invece meritava di essere raccontata.
A un passo da Provenzano si avvale di una ricca ricostruzione storico-processuale di eventi molto importanti legati alle vicende della criminalità organizzata in Italia negli ultimi 30 anni. Che tipo di lavoro di ricerca e di fonti c’è dietro?
Un’infinità di carte giudiziarie e fascicoli di polizia insieme a una discreta bibliografia sono le basi per un’impresa di questo tipo. Ma soprattutto le testimonianze dei protagonisti, la loro voce in presa diretta che spero di esser riuscito a restituire al lettore. Ed è importante anche la ricostruzione dei luoghi andando sul posto: le trazzere della profonda campagna siciliana come le strade di Catania e la loro atmosfera si possono raccontare soltanto dopo averle viste con i propri occhi.
Chi è Alessandro Scuderi, la cui testimonianza riveste un grande ruolo in questa storia?
È il vero protagonista. Un ispettore di polizia, sconosciuto al grande pubblico, che ha fatto sempre il suo dovere senza clamori, pensiamo all’incredibile arresto di Totuccio Contorno, all’intervento sul fallito attentato dell’Addaura contro Giovanni Falcone nel 1989, o – negli anni Novanta – alle indagini sull’omicidio di Ilardo. E a uno straordinario identikit di Provenzano, inedito fino a questo libro, realizzato da Scuderi nel 1997 che, chissà, se fosse stato preso in considerazione da chi di dovere avrebbe potuto portare ancora una volta a un passo dal capo della mafia nove anni prima della sua cattura nel 2006. Scuderi ha terminato la carriera, è ormai in pensione da un anno, da ispettore superiore. Ecco, la commissione giudicatrice della polizia di Stato ha negato a lui e a un suo collega la promozione perché le indagini che hanno portato agli ergastoli per l’omicidio Ilardo sono state ritenute “normale attività investigativa, senza pericolo di vita”. È troppo facile sia per lo Stato sia per l’antimafia spesso autoproclamata e ufficiale celebrare solo gli eroi morti. Raccontare la storia dell’ispettore Scuderi, aggiungere il suo tassello al puzzle dell’epopea terribile di Cosa nostra, significa rendere merito a tanti che, come lui, nello Stato hanno combattuto a testa alta, ma davanti ai quali non vengono stesi tappeti rossi in commemorazioni e cerimonie ufficiali.
Cosa rivelano a tuo avviso, gli eventi ricostruiti nella tua narrazione, sulle dinamiche tra Stato e mafia nel nostro recente passato?
Troppo spesso pezzi dello Stato sono scesi a patti con Cosa nostra dal secondo dopoguerra: è ormai un dato di fatto, le ultime due trattative tra mafia e istituzioni a cavallo delle stragi sono solo i più recenti episodi, speriamo gli ultimi. A questo riguardo l’elemento più clamoroso rimane la sentenza Andreotti, troppo spesso mistificata dai media: il più importante politico della prima repubblica ha avuto rapporti con Cosa nostra fino alla primavera del 1980 commettendo, e sottolineo commettendo, il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso: il reato è stato prescritto per il tempo intercorso, Andreotti non è stato assolto dall’accusa di mafia.
ph. Giampiero Calapà.
L’intervista è pubblicata su Reportage numero 44, acquistabile in libreria e qui in versione cartacea e in digitale.