Il libri che abbiamo letto e recensito sul nuovo Reportage numero 43.
Thomas Bernhard Midland a Stilfs (Adelphi)
Se c’è un legato tra i tre racconti di Thomas Bernhard riuniti nel volume Midland a Stilfs (1971) appena apparsi per Adelphi nell’ottima traduzione di Giovanna Agabio, è da ricercare nel motivo della “caduta”. Partiamo dal fatto che il termine tedesco Fall designa da un lato un crollo fisico, ma sta anche per “caso”, caso clinico. È su questo limite, a un passo dall’abisso (del precipizio e della follia), che si snoda il plot narrativo del trittico di Bernhard. Lo sfondo paesaggistico su cui si stagliano i tre racconti è quello dell’alta montagna: paesaggi (anche dell’anima) glaciali in cui le figure si muovono a fatica, perché le loro membra sono come paralizzate dalla morsa del gelo. Il protagonista è un inglese, Midland, che ogni anno raggiunge il Sud Tirolo per visitare la tomba della sorella, sepolta in queste zone montane dopo essere precipitata da un’altura. Si tratta di uno straniero, di un intruso che regolarmente irrompe nella “perpetua solitudine”, nell’inferno di solitudine di Stilfs, e che, con la sua visita, genera tra gli abitanti un senso di gratitudine e paura. L’Altro, che Midland rappresenta, costituisce qui come altrove un elemento perturbante, al contempo portatore di salvezza e di distruzione. Stilfs, che conserva, tra le anticaglie kitsch delle generazioni passate, anche “pezzi rari di arte applicata (…) che provengono dai paesi più diversi”, è un ritratto di questo “mondo al tramonto” (una risonanza della finis Austriae?). Il tema della morte, nella forma del suicidio collegato con i vincoli familiari, attraversa come un filo sotterraneo anche gli altri due racconti. Il mantello di loden, (che era già uscito per i tipi di Theoria), e Sull’Ortles. Notizie da Gomagoi. Se la trama del secondo racconto è dominata da un’ascensione in montagna da parte di due fratelli per verificare la possibilità (o meglio l’impossibilità) di andare a vivere nel rifugio ereditato dai loro genitori, il vero protagonista del terzo racconto è un oggetto, un loden appunto, che si rivela portatore di una pulsione di morte che colpisce chi lo indossa, prima il signor Worringer, zio dell’io-narrante, poi il commerciante Humer. I puntini che siglano il finale sono emblematici di una sospensione che – come spesso accade nelle strutture architettoniche di Bernhard – è e vuole essere anche un segnale di non-chiusura del cerchio. Micaela Latini
Bohumil Hrabal La perlina sul fondo (Miraggi)
Nel primo libro di Bohumil Hrabal, inedito in Italia fino alla recente pubblicazione nella collana di letteratura ceca di Miraggi, c’è già tutto ciò che i lettori amano di Hrabal. Quelli contenuti in La perlina sul fondo non sono, infatti, testi giovanili, ma i racconti (dodici) di uno scrittore già formato e che stranamente non sono stati contemplati dai curatori del “Meridiano” Mondadori. Ci sono, prima di tutto, le birrerie, che nessun altro sa raccontare come Hrabal. Chi volesse farsi due birrette fresche e schiumose può entrare nella “U zeleného stromu” e studiare al bancone il percorso dei tram di Praga, oppure trascorrere “Un pomeriggio uggioso” al tavolino di una piccola birreria sedendosi accanto a un ragazzo che nessuno riesce a disturbare perché intento nella lettura di un romanzo oltremodo appassionante (non sarà un romanzo dello stesso Hrabal?). Ma c’è birra anche in “Presepe praghese” e uno dei due uomini sdraiati al sole che si scambiano i loro monologhi in “I bei tempi andati” è proprio un birraio. Il ritmo è – come d’abitudine – trascinante, le immagini caleidoscopiche: Hrabal è un maestro dello zoom e della carrellata, ogni poche righe ecco una sorpresa, qualcosa d’imprevedibile, un colpo di scena, un’accelerazione comica (la tavolozza del suo umorismo va dal rosa al nero, spesso nelle stesse pagine). La traduzione di questi racconti è di Laura Angeloni, la curatela, che comprende anche un’ottima postfazione sulle peripezie editoriali del libro, di Alessandro Catalano. Riccardo De Gennaro
(Autori vari). A cura di Chiara Comito e Silvia Moresi. Arabpop. Arte e letteratura in rivolta dai Paesi arabi (Mimesis edizioni)
Arabpop è un volume splendidamente curato da Chiara Comito e Silvia Moresi, che raccoglie
i contributi di alcune tra le più note esperte italiane di cultura araba contemporanea. È una pubblicazione organizzata in otto contributi tematici e copre un arco di tempo che va dalla fine del 2010, l’anno che vide lo scoppio delle “Primavere arabe”, fino alla fine del 2019. Sono i dieci anni in cui il mondo arabo contemporaneo ha vissuto momenti di profonda rivoluzione e di radicale messa in discussione delle strutture sociali, con richieste pressanti e incessanti da parte della popolazione civile di subitanei cambiamenti politici, sociali e culturali che potessero portare alla luce nuove società, più egualitarie, libere e giuste. L’aspetto senza dubbio di maggiore interesse è il focus che le autrici dedicano alla varia e ricchissima produzione culturale che, in questo decennio di tragici sconvolgimenti, ha visto la luce. Vengono studiati e analizzati gli sviluppi della produzione letteraria, cinematografica, artistica e musicale di Paesi in tumulto che, nonostante le violentissime repressioni di regimi totalitari e oligarchie politico- economiche, continuano a indagare incessantemente il loro passato per delineare nuovi e futuri paesaggi di incontro e libertà. È il ritratto di società che vanno dal Maghreb al Medio Oriente, delle loro profonda ricchezza e eterogeneità, della loro complessità e vitalità. Maria Camilla Brunetti
Gian Mario Villalta L’apprendista (Sem libri)
C’è chi torna sempre a casa e chi scappa sempre via. Io sono scappato. Però la casa è sempre quella. Nessuno se ne libera”. Troviamo questa frase in L’apprendista, un romanzo di Gian Mario Villalta, uscito per Sem libri, che ci porta in un paesino della provincia veneta, una zona d’Italia che è entrata non di rado nella narrativa contemporanea, per temi come quello delle periferie industriali. Lo scenario, che abbiamo imparato a conoscere negli ultimi anni per la produttività e i problemi dell’economia, ma anche per l’irrigidimento di certi valori umani, ci fa riflettere qui sul senso di un nuovo apprendistato. Ambientato in una chiesetta dove è conservata una preziosa opera d’arte, il romanzo è la storia di Tilio – settantenne, ex operaio, vedovo, che non va d’accordo con suo figlio diventato ricco – e di Fredi, il sacrestano, che è stato nell’esercito, si doveva sposare, poi ha lasciato tutto, è andato missionario in Giappone e alla fine è tornato. L’apprendistato è un itinerario verso una nuova conoscenza, interiore e tutta laica, di ciò che è andato perduto, ciò che manca, ciò a cui si può tornare, ciò che si può costruire: un guardare in faccia il mondo contemporaneo senza giudizi e pregiudizi, solo con il desiderio e la modestia di riconsiderare l’importanza dell’essere umano. E se la provincia veneta, industrializzata e anonima, è stata il teatro perfetto del post- umanesimo, ecco un romanzo che viceversa pone, integralmente e molto criticamente, l’uomo al centro. Maria Borio
Giovanna Loccatelli L’oro della Turchia (Rosenberg & Sellier)
L’oro della Turchia, della giornalista Giovanna Loccatelli, affronta con differenti approcci la grande trasformazione urbanistica e sociale che Istanbul ha vissuto negli ultimi decenni e che ha portato, insieme a imponenti progetti di infrastrutture, grattacieli e nuovi quartieri, anche a un sensibile allargamento della forbice sociale come risultato di logiche economiche votate al neoliberismo, al profitto e all’esclusione sociale. Questo libro è quindi sicuramente anche un ritratto della complessità della Turchia contemporanea, con la trasformazione delle sue classi sociali, il desiderio di libertà della fascia più giovane della popolazione, le sue manie di grandezza e di modernizzazione che vanno però a braccetto con la radicalizzazione sempre più presente di uno spinto tradizionalismo e di una politica giorno dopo giorno più autoritaria e repressiva verso ogni forma di dissenso. L’autrice pone un accento particolare sulla stretta connessione tra grandi stravolgimenti urbanistici e conseguenti profondi cambiamenti di intere parti della società. È quindi, anche un’analisi sul ruolo del fautore della yeni Türkiye, il presidente Erdogan, a partire dalle sue ombre e dalle sue strategie politiche, nonché dai violenti e conseguenti cambiamenti registrati all’interno della società turca. Per poi chiudere con questa domanda: per quanto tempo durerà ancora l’oro della Turchia? Maria Camilla Brunetti