Il mar Tirreno come il mar Nero un pezzo di Calabria è Russia | testo e foto di Michela A. G. Iaccarino

Da un balcone all’altro, la mattina, i brevi imperativi riguardano orari, cibo, preparativi. “Tu porti la vodka, io gli shashlik, gli spiedini. Stasera si fa vecerinka, festa al terzo piano, a casa di Irina”, dice Alesha. L’appartamento dei Bereska – la famiglia betulla, questo vuol dire il loro cognome – è in uno dei pachidermici parchi grigi della città, che appena pochi anni fa erano gremiti di famiglie napoletane, cariche di figli, in arrivo da tutta la provincia campana. Succede a Skaleya, che sarebbe la nostra Scalea, il paesino della Calabria dove i russi giurano di aver trovato il paradiso. A destra, vista su cemento selvaggio, interessi vari delle cosche calabresi, negozi cinesi e incuria.

A sinistra, buche a terra, vitalismo cafone e kitsch proverbiale. La sera Irina, una bionda signora russa, la padrona della festa, è sull’uscio di casa ad attendere gli amici e dare loro il suo singolare saluto con l’accento di Mosca, alitando un caloroso e alcolico benvenuto slavo. Il suo è uno dei tanti ingressi nella piccola Unione sovietica calabra, che a Scalea è cresciuta lentamente, come un fungo delle foreste siberiane, ma in meno di un decennio, si è espansa dal nord al sud della città, come l’edera locale. La Calabria la chiamano Kalabristan e Scalea è diventata una russky gorod v Italii, una città russa in Italia: lo ripetono nelle decine di blog che scrivono al ritorno delle vacanze su yandex, il google russo, dove ormai le pagine scritte in cirillico che parlano di Scalea superano quelle in italiano. La domanda è pocemy? Perché proprio Scalea? Ma nessuno conosce la risposta. (…)

 

 

ph. La costa di Scalea

Il servizio completo è pubblicato su Reportage n. 39 acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale

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