I finestrini abbassati lasciano entrare nell’abitacolo il vento umido della pampa. Ho un braccio che sporge fuori, mentre l’altro è appoggiato sulla macchina fotografica. Quando, in lontananza, vedo una statua equestre al centro di un incrocio. Sollevo la testa. Siamo a Bragado, una città che conta 30mila abitanti a 200 chilometri da Buenos Aires, il cui nome deriva dal nome del cavallo della statua: Bragado, appunto, il cavallo che vediamo affacciarsi da una rupe, pronto a sacrificare la vita pur di non farsi domare e suicidarsi per sfuggire alla schiavitù. Appena superato il matadero, quando l’odore del sangue è ancora acre e punge sotto il naso, inizia una strada di terra, sembra fatta apposta per attutire i colpi delle buche profonde in cui affondano le ruote della camioneta, un percorso labirintico e con poche indicazioni, che se riesci a seguirlo porta a El chaja, una casa che domina campi senza fine, che verso sera brillano di luce propria. Il chaja è un uccello, che una volta addomesticato diventa il guardiano della casa, uno dei simboli della pampa argentina. Nella ruta de Tierra c’è tanta polvere di giorno e a volte, la notte, capita che la nebbia nasconda i suoi segreti. Si sentono i misteri sotto pelle, come una melodia che anche se nuova, ti sembra familiare e ti rimane in testa per molto tempo.
Percorrere strade nuove durante la notte è come conoscere una persona al buio, avrai la certezza della sua verità. La senti per la forza che emana. La luce, come la voce, veste di colori e ombre che a volte con- fondono. Quella notte era profonda e dovevi aspettare che l’occhio si abituasse al nero per capire i contorni delle poche case, ma la magia che si percepiva era ben definita. (…)
L’articolo completo è pubblicato su Reportage n°38, acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale
ph. Un domatore di cavalli della pampa argentina, che un tempo era un’immensa palude.