Roma, ore 6:00. I raggi delle prime luci dell’alba si affacciano da dietro i palazzi. Mentre i giovani studenti della John Cabot – l’università americana nel quartiere Trastevere – rientrano dopo un sabato sera di festa, nelle vie cominciano a spuntare i camioncini di coloro che montano i banchi del mercato di Porta Portese. Nato come ritrovo della borsa nera nel dopoguerra, oggi non è più un mercato delle pulci di sola roba usata, ma è possibile trovare di tutto, dalle mutande a pochi euro ai mobili d’epoca, dalle scarpe alle pentole, dai prodotti dell’informatica a quelli per il bagno. E poi libri, rari e meno rari, dischi a 33 giri, tornati di moda, vecchie foto, manufatti artigianali cinesi e della vecchia Unione sovietica, a partire dagli orologi e i busti di Lenin.
La maggior parte dei venditori espone la merce su tavoli di plastica protetti da un ombrellone, ma fino a qualche anno fa un gran numero di banchi erano carrelli di ferro che venivano da un altro mercato storico della capitale: quello di Via Sannio, nei pressi della Basilica di San Giovanni. I pochi banchi rimasti sono legati a una tipologia di lavoratori sempre più rari: i facchini. I quali, il sabato sera attaccano i carrelli ai rimorchi delle loro macchine e li trasportano nella zona di Porta Portese, dove aspettano fino alle 3, quando il traffico viene chiuso, per iniziare a montare. Verso le 5 e mezza la prima parte del lavoro è terminata. (…)
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