Sul muro d’ingresso c’è scritto “Achtung!” Poi “Gagarin”. Poi “Fake news” e “Uomini, siate umani!” firmato Rousseau. Il ritratto stilizzato di Shakespeare sul compensato color grano è muto, serve a coprire vecchi edifici di tutte le sfumature di grigio sovietico, quelli che i russi si sono lasciati indietro quando se ne sono andati dal Paese nei ‘90. Un cartello bianco e blu promette che questo “è un posto bellissimo, pieno di arte e artisti”. Questa è l’entrata nella micronazione di Uzupio, l’enclave fondata sulla beffa, lo stupore primordiale, la vodka scura ai frutti di bosco e l’anarchia. Capitale nella capitale lituana, Uzupio ha per missione la bizzarria. Per capirla davvero bisogna varcarne la soglia come un check point di confine tra sogno e realtà. Non è una strada questa: è la dogana della fantasia. Bisogna lasciarsi indietro la logica, scoprire quella linea sottile della galassia, su cui tutte le micronazioni sono state costruite con cemento, innocenza e nessuna paura di sembrare ridicole.
Comincia adesso il racconto di un orologio che segna le tre ma presto dimostrerà di essere rotto, di uno scultore che non arriverà mai all’appuntamento per quest’intervista, delle sue sculture marine. Del suo enorme pesce bianco di marmo spaccato a metà. Di alcuni bambini che non cresceranno mai, perché le micronazioni sono regni fondati sui sogni d’infanzia. A Uzupio il tempo non scorre, lo fa solo il fiume Vilna, dove abitano bambole sui rami, manufatti intarsiati e sovrapposti, scheletri che suonano scheletri di pianoforti, pianoforti veri e rotti, abbandonati ad ogni angolo. Poi c’è una sirena che, leggenda dice, non va guardata negli occhi perché ti tratterrà per sempre qui. (…)
Il servizio completo è pubblicato su Reportage n°37, acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale.
ph. un murales disegnato in una delle strade principali di Uzupio