Il taxi “LI Fan” che mi aspetta in strada, uno delle migliaia di taxi cinesi nuovi di zecca che circolano ad Addis Abeba, è il primo indizio. Diretti alla stazione, mentre attraversiamo la capitale etiope che si risveglia tra maratoneti impegnati nel primo allenamento e greggi di pecore portate al pascolo, passiamo davanti a un altro indizio più consistente: la mastodontica sede dell’Unione Africana, costata circa 200 milioni di dollari, “omaggio” degli amici cinesi al governo dell’Etiopia e all’Africa intera. Ma anche la nuova stazione ferroviaria, così come la nuova ala del Bole international airport, è stata realizzata da imprese e con capitali cinesi.
A differenza dell’antica stazione coloniale francese, cuore pulsante della Addis Abeba di Hailé Selassié, è stata costruita in estrema periferia, su una spianata di fango semideserta pensata per diventare un terminal commerciale. È così che il mio taxi ha modo di attraversare anche i sobborghi della città, dove i cinesi hanno costruito interi quartieri, edilizia a basso costo per assorbire la massiccia immigrazione, in buona parte cinese, che secondo le previsioni dovrebbe raddoppiare la popolazione della metropoli entro il 2025 (da quattro a otto milioni di abitanti). Pochi altri Paesi al mondo sono stati trasformati dai cinesi come l’Etiopia. (…)
Il servizio completo è pubblicato su Reportage n°37, acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale
ph. una studentessa musulmana a bordo del nuovo treno Addis Abeba-Gibuti.