Sono passati più di ottant’anni, eppure non siamo ancora riusciti ad evitare che la storia si ripeta: Hiroshima e Nagasaki, l’ex Jugoslavia, oggi la guerra civile siriana…”. Luis Iriondo Aurtenetxa ricorda il giorno del bombardamento di Guernica come se fosse ieri, lo racconta con minuzia di particolari, frammenti di vita personale, aneddoti apparentemente insignificanti ma che s’intrecciano alla storia del convulso Novecento e sembrano spiegarlo meglio di molte lezioni di storia.
Oggi Luis ha 95 anni e non è più quel ragazzo fragile che scappò in cima alle colline ad osservare la distruzione che la guerra aveva portato sulla sua città. Porta la tipica txapela basca sulla testa, alto, fisico asciutto, le mani grandi e callose da contadino, i modi gentili e uno sguardo lucido. Questa è una storia inizia oltre ottant’anni fa, con due ragazzi di 14 anni, seduti in mezzo agli alberi sul declivio del monte, la luce opaca del tramonto che illumina di rosso la vallata. Le mani piantate nella terra umida, il respiro affannato, osservano taciturni la città nel fondo valle. Il rumore dei soccorritori, le grida di dolore e gli edifici che crollano sotto il peso delle fiamme rompono il silenzio e l’incanto; inquietanti colonne di fumo salgono verso il cielo e la cenere imbratta il verde intenso delle colline basche. In lontananza svanisce il rombo greve dell’aviazione tedesca. È il 26 aprile 1937, un lunedì, siamo a Guernica. (…)
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