Il piccolo mondo antico delle palazzine, dove vivevano le famiglie degli ex ferrovieri genovesi, sta tutto lì: un fazzoletto urbano che corre verso l’alta val Polcevera, un viale di platani, blindato sulla destra da una muraglia dietro cui si nasconde un antico scalo ferroviario, dove una volta si collaudavano i locomotori costruiti dalle officine Ansaldo; in alto un cielo trafitto dalle armature dei piloni di quel che resta del Ponte Morandi. I palazzi di via Fillak, costruiti sul finire degli anni ‘50, hanno conservato un gusto retrò, sono case dai salottini gozzaniani, civili abitazioni di una minuscola borghesia in fieri, melanconiche nel familiare ripetersi dei dettagli domestici tutti uguali e dai giardinetti privati in cui sopravvivono piante desuete: nespoli inselvatichiti, lillà, calle acquatiche, augusti steli di malva reale, aiole bordate di scisti nerastre, una fontana piccola piccola con i pesci rossi. Ovunque le tracce inoppugnabili – vaschette del gelato piene d’acqua e sottovasi con le crocchette – di una colonia di gatti. (…)
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