C’era un tempo, in Egitto, in cui le forze della natura venivano venerate come divinità e si dedicavano loro rituali e offerte per guadagnarne i favori. Da queste dipendeva anche l’esito dei raccolti in particolare da Hapi, il dio della fertilità e della fecondità, “il dio del Fiume che porta vegetazione”.
Quel fiume, naturalmente, era il Nilo. Oltre le sue acque non v’era che deserto e polvere, Hapi veniva rappresentato come un padre generoso con il petto di donna che fertilizzava un’area avara di precipitazioni. Oggi, come allora, la vita di ogni egiziano è legata in maniera indissolubile al suo fiume e alla serpeggiante striscia di terreno fertile che lo accompagna. “Un dono del Nilo”, disse Erodoto dell’Egitto, un paese che nel fiume si è sempre specchiato e identificato e che ha sempre reclamato i “diritti storici” del suo utilizzo.
La sua sorgente va rintracciata nel lago Tana in Etiopia, dove sgorga il Nilo Azzurro, che attraversa il nord del paese e il Sudan, fino ad abbracciare il Nilo Bianco a Khartum, un fiume quest’ultimo prove- niente dal lago Vittoria, in quello che i poeti arabi hanno definito “il bacio più lungo della storia”. Il Nilo Azzurro contribuisce per l’85 per cento alle acque che scorrono fino alla diga di Assuan, nell’Alto Egitto, una zona la cui morfologia è stata stravolta con la costruzione della bassa diga (1902) e dell’alta diga (1963), che hanno inondato un intero territorio, costringendo 100mila nubiani a fare le valigie
e a lasciare le loro case, per far spazio all’immensa riserva del lago Nasser.
“Il nostro popolo si è trovato letteralmente senza terra”, mi racconta Kari, che organizza viaggi culturali nella zona che è diventata la Nuova Nubia, ovvero i dintorni della città di Assuan. “In molti – precisa – sono emigrati in Canada, negli Emirati Arabi e in Arabia Saudita e lavorano per mandare soldi alle loro famiglie rimaste qui”. (…)
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