Caserta, reggia et circenses – di Valerio Magrelli

Didascalie, la rubrica quindicinale di Valerio Magrelli per il sito di Il Reportage, che si affianca a quella da lui tenuta sul trimestrale cartaceo.

 

Tempo fa abbiamo parlato di un articolo in cui Tomaso Montanari criticava una mostra dello stilista Alaïa allestita alla Galleria Borghese per l’incongruità di certi accostamenti. Difatti, in Francia, la stessa iniziativa era stata ospitata nel museo della moda al Palais de Galliera, e non certo al Louvre. Come è stato possibile pensare di mettere sullo stesso piano i marmi, i quadri, gli arredamenti della Galleria Borghese (uno dei più miracolosi organismi estetici della storia) e le opere di un sarto alla moda? Lo stesso problema ritorna un po’ ovunque in Italia, dallo sciagurato musical allestito l’anno scorso sul Palatino, alla sciaguratissima Reggia di Caserta, il cui direttore ha invitato Federica Pellegrini a nuotare nella stessa vasca che, d’altra parte, ha già accolto gare di canottaggio.

Bisogna aprire, diventare popolari, ha spiegato il direttore generale Mauro Felicori, e siccome il popolo vuole essere intrattenuto, il patrimonio diventa cornice e location di qualsiasi evento. Ma dove averne fatto il teatro di film (da Guerre Stellari a Angeli e demoni), serie televisive (Elisa di Rivombrosa) e festeggiamenti privati (le nozze di Naomi Campbell), sarà bene chiedersi se è giusto trasformare la Reggia di Caserta in un brand commerciale. Così, sulla “Stampa”, Giulia Zonca ha sollevato molte riserve su questo tipo di valorizzazione del patrimonio: “Come ricavare un quagliodromo nella cupola del Pantheon, un’arena al Colosseo, una parete per climbing sulla Torre di Pisa e una sala da banchetti a Ponte Vecchio”. Lo stesso ha ribadito su “l’Espresso” Manlio Lilli, denunciando il rischio che tanti beni culturali finiscano per diventare “un po’ Eataly un po’ centro commerciale”.

Ebbene, credo che la risposta più convincente, venga ancora una volta da Montanari, anzi, da una sua citazione. Al tempo del marketing anzi, del “marketting” del patrimonio (battuta facile ma efficace), forse dovremmo tornare alle parole di Don Milani, che già ai suoi tempi metteva in guardia contro il rischio di abbandonare i beni culturali alla “ricreazione dei padroni”. Siamo regrediti all’antico regime, ha spiegato Montanari, col principe che benevolmente apre ogni tanto le porte del palazzo alla plebe, salvo affittarlo per le feste dei più facoltosi. Peccato che oggi, a differenza del passato, quel patrimonio lo mantiene la “plebe” stessa con le sue tasse: “Si torna a una società predemocratica, dove contano solo i soldi. La Reggia torna a essere dei ricchi e non dei nuovi sovrani cioè del popolo”. Più chiaro di così.

 

 

 

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