Il “bandito” della letteratura russa guarda nello spioncino, decide che non c’è pericolo e apre la porta. Ci troviamo all’ultimo piano di un palazzo color pastello, un migliaio di passi da piazza Majakovskij, Mosca. È stata Olga ad accompagnarmi davanti a questa porta, 34 anni, tassista, capelli rasati, denti d’oro. L’avevo incontrata alla sede del partito Drugaja Rossia, l’Altra Russia, fondato da Limonov nella cantina di un edificio in centro. All’interno di due stanze senza finestre e porte con le sbarre di ferro chiuse a chiave e in una luce gialla e con la musica rock patriottica a tutto volume, c’era un gruppo di militanti. Bevevano tè e scrivevano manifesti, ragazzi giovanissimi vestiti di nero, che abitualmente trascorrono ore e ore tra pareti tappezzate con le pagine dei libri del loro mentore e del giornale da lui fondato, la Gazeta Limonka. Ero andata a cercare Edward Limonov laggiù, sottoterra, dove non va quasi mai, seppi dopo. Lui non c’era, infatti, ma la sua ombra, la sua tuttofare, Olga, era vigile:
“Edward è un dobrij celovek, un uomo gentile – mi dice – e accetta l’intervista, andiamo”.
Avevo quindici domande sul taccuino, ma in testa una sola. Chi avrebbe aperto la porta della casa di Limonov? Il protagonista di un romanzo o un uomo? La canaglia letteraria e alcolizzata partorita dalla penna francese di Carrère? O, ancora, l’uomo che spara sotto gli occhi compiaciuti del comandante serbo Karadzic? Il maggiordomo, il dandy, il rivoluzionario, il combattente? Insomma, chi mi troverò davanti, Limonov o il suo dvoinik, il suo doppio, il sosia letterario o entrambi? (…)
L’intervista completa è pubblicata su Reportage n°35, acquistabile qui in cartaceo e in versione digitale