Didascalie è la rubrica di Valerio Magrelli per il sito di Il Reportage, che si affianca a quella da lui tenuta sul trimestrale cartaceo.
Dentro al campo di tiro,
la mano sul grilletto,
mentre sparavo ho appreso
che i proiettili hanno
la data di scadenza
[…]
Missile a lungo raggio,
alta tecnologia.
Impazienti si aspettano
di riuscire a lanciarlo
prima che sia scaduto.
Si intitola Scadenza delle armi (in originale Caducidad de las armas) questa poesia di Pedro Luis Ladrón de Guevara dedicata alla sua antica esperienza di recluta. La composizione è inserita nella raccolta Tornerò dov’ero (Edizioni Ensemble), uscita da poco in italiano a cura di Matteo Lefèvre. Come ricorda Claudio Magris nella prefazione, la scrittura di questo autore presenta una forte componente sociale, un doloroso, fermo ripudio della nostra condizione storica, una taciuta ma disperata ripulsa del presente: “L’Io lirico di Pedro Luis Ladrón de Guevara non vuole ‘essere qui’, se qui e ora significano essere al passo con la disumanizzazione”.
Se ho riportato questi versi, tuttavia, non è per un intento critico-letterario, bensì per una ragione strettamente tematica (pare del resto che, per lo stesso motivo, la lirica incuriosì anche un romanziere come Antonio Tabucchi). Confesso, infatti, che non avevo idea di una notizia così singolare, la scadenza delle armi, e a quanto pare nemmeno molti utenti del web, almeno a giudicare dal gran numero di interventi sull’argomento.
Ne cito uno a caso: “Scusate se la richiesta che vi sottopongo è banale o inappropriata, ma il munizionamento dei fucili d’assalto in 5.56 o quello in uso in precedenza in 7.62 hanno una scadenza? E se sì, dopo quanto tempo devono essere distrutti o inertizzati?”, chiede ad esempio l’utente Saigon 70. La migliore risposta al suo quesito suona così: “Le cartucce standardizzate Nato hanno assolutamente una scadenza, non tanto perché oltre tale scadenza non siano più utilizzabili, anzi, tutt’altro, ma perché devono garantire sempre la sicurezza operativa. Generalmente le scadenze sono di dieci anni per le munizioni per arma corta (anche se impiegabili su pistole mitragliatrici) e cinque per quelle da arma lunga (5,56 – 7,62 – 12,7 ecc.)”.
Capito? Proiettili e pistole come yogurt! Lo ammetto: la scoperta mi ha lasciato interdetto, ma fino a un certo punto. Infatti, sulla scorta dei bei versi spagnoli, mi è ritornata in mente una storiella datata 1998… Ormai sappiamo tutto sull’obsolescenza programmata di tanti ritrovati della tecnica (costruiti cioè per invecchiare entro una data prestabilita), ma pochi forse immaginano che il discorso riguardi anche la religione.
L’allarme fu lanciato giusto vent’anni fa da “l’Avvenire”, che scrisse: “Per legge, anche le ostie adesso scadono, e potrebbe non essere lontano il momento in cui sulle confezioni di azzimi per la messa si vedrà trascritta la fatidica dicitura Consumarsi preferibilmente entro…”. Trascinata sul banco degli accusati fu la legge 283, intesa a disciplinare la vendita di prodotti alimentari. Così, su “La Repubblica”, Marco Politi scrisse un articolo intitolato Ostie con la scadenza. E la Chiesa protesta, nel quale si leggeva: “La Chiesa cattolica, a differenza di quella Ortodossa, prescrive che l’ostia sia fatta di pane azzimo, non lievitato, […] Per evitare il proliferare di bollini con le date di scadenza, qualcuno propone di cuocere il pane (azzimo) lì per lì. Ma poiché il diavolo si nasconde nei dettagli, ecco spuntare chi grida allo scandalo e al sacrilegio, dato che il pane fresco di cottura, spezzandosi, potrebbe far cadere delle briciole. E che succederebbe di loro, dal momento che sono già consacrate?”
Il discorso ci porterebbe lontano, tanto più oggi, visto il recente divampare delle polemiche tra sacerdoti (sull’ostia senza glutine) e rabbini (sui carciofi alla giudia). Fermiamoci qua, magari limitandoci a parafrasare Nietzsche, e immaginarlo proiettato nell’universo della mercificazione totale: “Dio non è morto, è soltanto scaduto”.
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