Angela Rizzo, molestie sessuali nell’Arma dei Carabinieri – di Giulia Bosetti

Uomini e no è la rubrica di Giulia Bosetti per Reportage dedicata alla difesa dei diritti umani.

 

Alta, carnagione scura e grandi occhi color nocciola. Un caschetto di capelli lisci castani e qualche pennellata di ombretto grigio sulle palpebre. Giovanissima, eppure molto seria. Se l’avessi incontrata per strada, senza conoscerla, avrei immaginato che facesse qualsiasi mestiere, tranne il suo. Ma siamo al tribunale militare di Roma e lei si trova qui per aver denunciato un suo superiore. Perché Angela Rizzo, origini italo-brasiliane, è una carabiniera in forza al Comando provinciale di Firenze. E il 12 dicembre 2017 attende l’udienza per il processo di cui è, suo malgrado, protagonista. “Fin dal primo giorno, mi sono trovata un po’ a disagio con uno dei componenti del laboratorio di analisi degli stupefacenti in cui lavoravo. Erano tutti carabinieri e l’attività veniva svolta solo da noi tre, quindi una cerchia di persone abbastanza ristretta. A un certo punto, mi sono resa conto che le attenzioni che avrebbero dovuto essere rivolte solo all’attività lavorativa, erano concentrate più che altro sulla mia persona”. Vere e proprie molestie sessuali. E’ così che mi racconta la sua storia, con delicatezza e profonda serietà. 

Una giovane donna all’inizio della sua carriera in un contesto lavorativo in cui la presenza femminile è ancora risicatissima: il 16% nella polizia, il 5% nei Vigili del fuoco, il 5% nelle Forze Armate, che naturalmente include l’Arma dei Carabinieri. Per andare avanti, in molti casi, bisogna sfidare il sistema e superare i pregiudizi. Angela l’ha fatto, giorno dopo giorno, ogni mattina al lavoro in laboratorio, mentre il suo superiore, il maresciallo Luigi Ruggiero, la mette all’angolo, la tortura psicologicamente e la molesta fisicamente. 

Quando la carabiniera viene chiamata al banco dei testimoni, il Presidente del Tribunale militare le chiede di ricostruire il suo piccolo calvario quotidiano. E mentre ricorda, ripercorrendo un episodio dopo l’altro, la calma di Angela si spezza lentamente, la sofferenza che ha dovuto affrontare si legge nei suoi occhi e nella sua voce, che poco a poco si incrina: “Passandomi dietro, mi diede un frizzino sul sedere. Io presi la pratica, andai alla mia scrivania e lì ho incominciato a piangere, perché ero mortificata, perché a quello seguirono anche le parole e le offese: “sei frigida”, “nessuno ti prende”. Gestire la situazione non è facile, il maresciallo Ruggiero è il suo superiore, il collega con cui condivide turni e attività lavorative. Lei è arrivata da poco, piena di aspettative sul percorso professionale che l’aspetta. Prova a fargli capire che non gradisce i suoi comportamenti, lo respinge seppur rispettosamente. “Però non è stato sufficiente, anzi, credo che si sia entusiasmato ancora di più”. 

Fuori dal Tribunale, Angela Rizzo può raccontarmi come si sente, che cosa le passa per la testa in quei mesi in cui chiede di cambiare turni per non trovarsi più ogni giorno al fianco del maresciallo, in quell’ufficio che si fa sempre più stretto. Ma le sue richieste vengono rifiutate. “Sono arrivata al punto di essere decisa ad andarmene via, perché avevo paura che succedesse qualcosa di ancora più grave. In un contesto come il nostro dovremmo tutelare, non crede? Con grande amarezza, trovo invece che, come nel mio caso, si venga abbandonati”. 

Alla fine, Angela decide di rivolgersi ad un carabiniere di grado ancora più alto, il primo che finalmente la ascolta, la prende sul serio. Lo vedo sfilare in udienza, indossa fieramente la sua divisa, stellette sulla spalla, cappello sotto il braccio. La sua testimonianza davanti al giudice, a fronte della reticenza del collega che l’ha preceduto, è quella decisiva: “Il maresciallo maggiore Ruggero esercitava, nei confronti della Rizzo, un comportamento morboso. Le aveva messo le mani addosso, una toccata sul sedere, provocando la reazione della stessa, che era quasi giunta a dargli uno schiaffo. A questo punto io ho capito che questi fatti personali andavano un po’ troppo oltre le mie possibilità, quindi ho pensato di andare a riferire ai miei superiori”. Angela lo ascolta commossa, seduta a fianco al suo avvocato. In quel momento credo che sappia di aver vinto, ma le lacrime che le scivolano sulle guance non sono di liberazione. Nei suoi occhi leggo le mortificazioni che ha subito, le pressioni psicologiche, le molestie fisiche, la paura di non sapere come uscirne. Leggo la solitudine. 

Nonostante si tratti di un reato sempre più diffuso da quando le donne sono entrate nelle forze armate, nell’ordinamento militare non esiste il reato di molestie sessuali. Una grave lacuna, a cui le istituzioni dovrebbero far fronte e di cui è consapevole anche il dottor Maurizio Block, già Presidente della Corte Militare di Appello e attuale Procuratore Generale Militare della Repubblica presso la Corte Suprema di Cassazione. E’ lui a sollevare il problema, quando lo incontro dopo l’udienza al Tribunale militare e mi spiega quanto sia necessario e urgente un intervento dal punto di vista legislativo. 

Alla fine, il maresciallo Ruggiero viene condannato per minacce aggravate, ma la storia di Angela non finisce qua. L’intervista che le faccio quel giorno va in onda tre mesi dopo a Presadiretta, su Rai Tre, all’interno di un reportage-inchiesta sulla parità di genere e gli abusi e le molestie sessuali nel mondo del lavoro. Si intitola “Sesso e potere” e non passa inosservato all’Arma dei Carabinieri. Poche settimane dopo, viene aperto un procedimento disciplinare a carico della carabiniera italo-brasiliana, per avermi rilasciato l’intervista. Denunciare pubblicamente costa caro. “Con riferimento al contenuto dell’intervista, si rileva una possibile lesione del prestigio istituzionale” dell’Arma dei carabinieri. Angela avrebbe dovuto chiedere l’autorizzazione all’intervista e invece, con le sue parole, avrebbe gettato discredito sull’Arma: “I fatti sopra descritti potrebbero assumere rilevanza disciplinare e costituire violazione delle seguenti norme: Contegno del militare, Comunicazioni dei militari, Doveri attinenti al grado, Senso di responsabilità”. Lei che ha trovato il coraggio di denunciare, di cambiare le cose. Lei che messo un superiore di fronte alle sue responsabilità, che ha impedito che qualcosa di simile potesse accadere ad un’altra donna, che ha contribuito a far sì che chi aveva commesso un reato ne pagasse le conseguenze. Lei che rappresenta un modello per tutte le donne che vorrebbero denunciare ma non trovano il coraggio di farlo, proprio lei, sarebbe venuta meno alle norme sul contegno del militare e al senso di responsabilità. 

Secondo i dati Istat pubblicati a febbraio del 2018, negli ultimi tre anni in Italia 1 milione e 400 mila donne sono state molestate sessualmente sul posto di lavoro e l’80% non ne ha parlato con nessuno. Denunciare è la cosa più difficile, il vero muro da abbattere e lo confermano tutti gli operatori di settore e le procure che si occupano di questo tipo di reati. L’Arma dei Carabinieri, lo Stato, avrebbero dovuto riconoscere in Angela Rizzo un esempio da seguire, avrebbero dovuto difenderla e sostenerla, invece l’hanno lasciata sola. 

Dopo il processo e le sue denunce pubbliche, la situazione per la carabiniera diventa sempre più difficile. I colleghi la isolano, la deridono, le fanno dispetti. La applaudono ironici quando la vedono passare in Caserma. Intorno a lei, silenzi, risatine, imbarazzi. Angela è provata, emotivamente e fisicamente, ma continua a lavorare senza lamentarsi mai. Da tempo ha chiesto il trasferimento, perché di quella situazione non ne può più. Lo ottiene all’improvviso il 6 giugno scorso, da un giorno all’altro. Il superiore la convoca in ufficio e le comunica che il giorno dopo deve presentarsi alla Caserma di Livorno. Una decisione estemporanea, senza nessun preavviso, ma lei non batte ciglio. Ha poco tempo, ma è l’occasione che aspettava. Fa la valigia la sera stessa e il giorno dopo si presenta a Livorno, dove finalmente viene chiuso anche il provvedimento disciplinare. A Firenze erano passati quasi tre mesi, a Livorno basta una giornata. Tutto archiviato con un richiamo verbale. La carriera di Angela può ricominciare senza ombre nel Nucleo Investigativo di Livorno. 

Anche qua, naturalmente, è la prima donna. Ma non ha perso la voglia di combattere.

 

 

 

 

ph. Giulia Bosetti (credit Laura Mormii)

 

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