Johanna-Maria Fritz è la fotografa vincitrice del Reportage Photojournalism Award 2018 con il suo lavoro “Like a bird” incentrato sulla funzione del circo nei Paesi islamici.
In questa intervista abbiamo chiesto a Johanna-Maria di parlarci del suo lavoro, di come è nato e delle motivazioni che l’hanno spinta a raccontare società a prevalenza musulmana attraverso la lente del circo.
Come e quando è nata l’idea di “Like a Bird”?
Ho iniziato il lavoro nel 2015 seguendo un circo in Cisgiordania, in Palestina. L’idea di un progetto sul circo nel paesi musulmani è arrivato dopo. All’inizio del 2016 sono stata per la prima volta in Iran e poi ancora più volte in Palestina (a Gaza e in Cisgiordania) e poi ancora in Iran. Alla fine del 2016 ho visitato per la prima volta l’Afghanistan. Nel 2017 ci sono tornata più volte. Nel 2017 ho provato ad andare in Israele con un visto giornalistico ma mi hanno negato l’ingresso. Non so perché. Stessa cosa negli Stati Uniti.
Perché hai scelto di utilizzare il mondo circense come lente per raccontare alcune società a predominanza musulmana?
Credo sia una realtà legata all’infanzia e molto positiva che tutti possono comprendere. È facile per il mondo occidentale puntare il dito contro i paesi musulmani di questi tempi. Quasi ogni giorno le stesse news. Volevo raccontare le loro storie in un modo diverso.
Spero abbia funzionato.
Quanto tempo hai dedicato al lavoro in ogni Paese che hai raccontato? Quanto tempo trascorri solitamente con gli artisti e come viene percepita la tua presenza sul campo?
Per me era importante passare il maggior tempo possibile con gli artisti del circo. Ma ovviamente arriva anche quel momento in cui ti rendi conto di essere troppo vicina e troppo coinvolta nella cosa. Sono stata molte volte in Palestina. Due volte a Gaza ogni volta per due-tre settimane. In Iran complessivamente ho trascorso tre mesi vivendo nella mia roulotte con il circo. Anche in Afghanistan sono stata circa tre mesi.
Cosa ti ha insegnato – o rivelato – di inatteso questo progetto che indaga una realtà poco conosciuta come quella del circo in Paesi che invece sono molto rappresentati fotograficamente ma quasi sempre in relazione a realtà di guerra e di conflitto o di emergenze umanitarie?
Ho cominciato a interessarmi alla Palestina quando avevo 17 anni, e avevo appena iniziato a studiare fotografia. Una mia collega un po’ più grande di me era stata già diverse volte in Palestina. Mi raccontò alcune storie e così decisi di unirmi a lei. Avevo già seguito un circo tedesco e uno islandese e ho pensato che sarebbe stato interessante trovare un circo là. Quindi è così che ho iniziato a interessarmi a questi Paesi. È stato soprattutto per il circo. Ora invece vivo grazie alla mia fotografia anche lavorando per i magazine e per i quotidiani in questi Paesi.
Chi sono i giovani che si avvicinano al circo? Ritieni che il circo possa essere o diventare uno strumento di emancipazione sociale in questi Paesi, soprattutto per le donne?
Sì. Certamente dipende da dove. In Afghanistan per esempio il circo dà la possibilità soprattutto alle bambine di visitare scuole normali. In Palestina il circo rende le ragazze anche più indipendenti rispetto ai loro obblighi in quanto donne. In Iran alle donne non è permesso esibirsi davanti a un’audience. Ma modi si trovano sempre. Una signora, la moglie di uno degli artisti, si esercitava ogni notte sui tessuti per andare un giorno insieme al marito in Turchia per lavorare in un circo all’estero.
Puoi raccontarci un incontro di questo lavoro, una persona, un luogo o un momento che ti è particolarmente caro e che trovi emblematico di “Like a Bird”?
Quel momento in cui vedi giovani ragazze che si esibiscono davanti a un pubblico per la stragrande maggioranza formato da uomini in un luogo ultra patriarcale come l’Afghanistan. Sono orgogliose e hanno molta più fiducia in loro stesse del resto delle ragazze che ho incontrato nel Paese. Possono dire quello che pensano, sono orgogliose di quello che hanno appreso e, ovviamente, sono anche un po’ cattive 🙂
Qual è il futuro del progetto? È destinato a continuare e ad essere ampliato anche ad altri Paesi musulmani? Quali saranno, se ci saranno, le nuove tappe?
Ora sto raccogliendo i fondi per viaggiare in altri sette Paesi musulmani. Per mostrare le differenze e le similitudini tra un Paese e l’altro. Sarà tutto più completo. Ma non starò più così tanto con ogni circo. Sarà un lungo viaggio che prevederà una permanenza di 2-3 settimane in ogni Paese.