Le vittime siamo spesso noi donne semplicemente perché siamo più deboli”. Julia Beltrian ha 31 anni, è educatrice e vive a Barcellona, si dichiara apolitica, simpatizza per vari collettivi femministi catalani, ma senza essere una militante. “Anche durante gli scontri per il referendum del primo ottobre, la Guardia Civil ha attaccato e ferito molte donne, alcuni video hanno fatto il giro dei social network. Colpire una donna è sempre più facile, in qualsiasi situazione”, sottolinea. La questione catalana comincia da lonta no. Fa parte di un problema strutturale spagnolo e di quella famosa costituzione del 1978 che diede qual cosa a tutti senza soddisfare nessuno. “Il femminismo catalano è sempre stato a stretto contatto con la politica – continua Julia – fin dai tempi della seconda repubblica le operaie catalane si sono organizzate in movimenti collettivi, pianificando workshop per insegnare a leggere e a scrivere, o pretendendo gli asili nido sul posto di lavoro”. Quasi un secolo dopo, il movimento femminista spagnolo va avanti con la stessa vocazione anticapitalistica. Erede del movimento degli indignados del 2011, il femminismo spagnolo oggi è composto da decine di collettivi e associazioni che lavorano a stretto contatto con le istituzioni. I femminismi spagnoli creano pensiero, azione, fanno comunità. Non è solo lotta alla violenza di genere, ma un movimento pluralistico, democratico.
Una battaglia contro l’ingiustizia che si oppone alle logiche del capitalismo e alle politiche neoliberali. Un movimento di sinistra che potrebbe essere una delle migliori speranze di questa europa confusa. (…)
L’articolo completo su Reportage n. 33 in libreria e acquistabile qui in cartaceo e in ebook .