Sui monitor scorrono foto, nomi e mappe dei luoghi più a rischio. Al primo piano di una palazzina all’interno di una cittadella a qualche chilometro dagli studi di Cinecittà si lavora 24 su 24 per trattare velocemente le informazioni e condividerle attraverso le banche dati. Le forze dell’ordine possono consultarle in tempo reale per controllare i sospettati e far scattare piani antiterrorismo.
Nell’ultimo anno l’Italia ha inserito diverse migliaia di segnalazioni, mettendole a disposizione dei paesi dell’area Schengen. Abbiamo assicurato il maggior contributo informativo, eppure c’è chi mette cicli- camente in discussione questo sforzo e sostiene che il Belpaese sia rimasto immune da attentati per effetto di un patto tra mafie e jihadisti. “Dire che la ragione dei mancati attentati risiede nella forza della criminalità organizzata è profondamente sbagliato. Si tratta di una ricostruzione di fantasia e offensiva per il Paese”, chiarisce Maurizio Romanelli, procuratore aggiunto della Direzione nazionale Antimafia e Antiterrorismo.
Mafie e terroristi semmai possono avere solo una convergenza in specifici affari criminali. È il caso del petrolio rubato da miliziani libici e trafficato via Malta con la complicità dei ‘catanesi’. E poi il narcotraffico jihadista: dall’India passa al porto di Gioia Tauro, con il placet delle ndrine, e approda in Libia. La chiamano “droga del combattente”. Chi la assume smette di sentire paura, dolore e fame. Non ha più inibizioni ed è pronto a seminare terrore. Venduto a circa due euro a pasticca, il tramadolo è stato ritrovato nel covo di Salah Abdeslam e degli altri membri del commando entrati in azione al Bataclan di Parigi e nel sangue di uno degli attentatori di Sousse, in Tunisia. (…)
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