Attraversiamo i vicoli del quartiere insieme a lei e tutti si fermano a salutarla. Non riusciamo a fare pochi passi che dobbiamo fermarci perché ci sono altre persone che vogliono parlarle, chiederle un consiglio, raccontarle di qualche conoscente comune o dell’ultima difficoltà che stanno affrontando. Lei ha un sorriso e una parola per tutti. Si ferma a ogni nuova richiesta, ascolta, pensa al modo migliore di aiutare. I bambini le sorridono mandandole baci con la mano mentre scappano correndo tra pozzanghere di acqua e fango; piccoli acrobati tra lasciti di rifiuti e vecchie sedie di plastica abbandonate fuori da baracchini che servono caffè a buon mercato.
“Questa strada porta il mio nome”, ci dice sorridendo non appena svoltiamo l’angolo che ci porta alla sua abitazione. “Abito qui. Dal momento che nel quartiere tutti mi conoscono, per indicare questa strada le persone hanno iniziato a chiamarla con il mio nome. La strada di Hayat. Così la chiamano”. Hayat in arabo significa vita e la vita di Hayat (44 anni) è trascorsa quasi tutta all’interno di questi tre isolati stretti intorno a una piccola piazza, a ridosso della scuola El Ahliyah e della moschea Farhat. Siamo a Naba’a, un’area tra le più povere e critiche di Beirut, nella cintura orientale della città, all’interno della grande municipalità cristiana di Burj Hammoud. (…)
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