Bogotà è una Venezia con i canali di terra e plastica. Brulica di gente come tutte le grandi metropoli, ma qui si notano uomini in uniforme che passeggiano con disinvoltura, gruppi di militari che chiacchierano e mangiano patatine all’ingresso del supermercato proteggendosi dalla pioggia sottile tipica della capitale. Lontana dalla tranquillizzante bellezza dei paesaggi del vecchio continente, la città è avvolta da amazzoniche nuvole basse e circondata da montagne selvagge.
Ho appuntamento con Carlos Mario Yory, un docente che mi sta aiutando a organizzare la mia agenda di interviste sulla pace tra il governo della Colombia e le Farc. All’entrata del campus dell’Università pubblica mi chiedono il documento: “È per ragioni di sicurezza”. Incontro il professore, che alla docenza affianca la militanza come pacifista e, grazie a lui, ottengo un primo colloquio all’Agenzia colombiana per il reintegro (Acr), l’ente nazionale che si occupa di reintrodurre gli ex guerriglieri nella vita civile. Quando usciamo, una volta dentro l’auto, mi chiede di alzare il finestrino, perché non si sa mai, “per ragioni di sicurezza”. Il giorno dopo trovo, non senza difficoltà per via di un indirizzo sbagliato, l’Agenzia. Il mio uomo si chiama Otoniel Romero. (…)
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