Il ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo ha pubblicato pochi giorni fa il dossier “Cultura e Turismo, tre anni di governo” in cui si legge che nel 2016 il bilancio della cultura è tornato sopra i 2,1 miliardi di euro, per la prima volta dopo otto anni: le risorse del Mibact sono cresciute del 37 per cento e nuovi fondi sono stati destinati dal 2014 ad oggi alla tutela del patrimonio e ai grandi progetti culturali. Per gli interventi di restauro e messa in sicurezza dei musei sono stati stanziati 300 milioni, un altro miliardo di euro sarà ripartito tra 33 interventi di valorizzazione del patrimonio culturale e potenziamento del turismo, fino al 2020.
Si tratta di progetti di lungo periodo, e di grande impatto, come il restauro delle mura cittadine dell’Aquila o la costruzione del Museo nazionale dell’Ebraismo e della Shoah a Ferrara, o il recupero del carcere di Ventotene. Ai fondi ministeriali bisogna aggiungere quelli europei, perché il “Piano obiettivo nazionale 2014-2020” ha assegnato 490 milioni di euro a sostegno delle industrie creative nelle cinque regioni del Sud Italia; e pure quelli privati, visto che l’Art bonus, sperimentato nel 2014, è diventato uno strumento permanente che facilita le donazioni in favore della cultura grazie all’adozione di un credito d’imposta del 65 per cento. In tre anni, 4.250 donatori hanno devoluto quasi 158 milioni di euro ripartiti su 1.150 interventi.
Più fondi, dunque, e una maggiore attenzione alla cultura, pare. Eppure dalle amministrazioni locali, con alcune eccezioni, arriva un dato in controtendenza. Secondo le stime di Open Polis attraverso l’analisi dei bilanci dei Comuni, a livello municipale si taglia sul comparto cultura, complice anche la crisi economica, a svantaggio di biblioteche, musei e attività culturali per i cittadini.
L’osservatorio ha messo a confronto i dati delle maggiori città italiane, con più di 200mila abitanti, negli anni 2005-2014. Quello che emerge è un complessivo, drastico, calo della spesa per cultura pro capite, fatta eccezione per l’anno 2009, quando sono stati raggiunti i 77 euro, per poi scendere a 71 nel 2010, 68,5 nel 2011, 63,5 nel 2012, 64 nel 2013 e 61 nel 2014.
Analizzando il decennio nel suo complesso, emerge che il calo degli investimenti era già cominciato prima della crisi: nel 2005 si spendevano 71,5 euro pro capite, nel 2008 si era scesi a 68,5, per poi, dopo la parentesi del 2009, subire un declino inarrestabile fino al record negativo del 2014.
Tra le realtà urbane più popolate ed estese ce ne sono sei che invece hanno aumentato la spesa culturale, nonostante la crisi o forse proprio per farne fronte. La crescita in percentuale è stata analizzata nel periodo compreso fra il 2010 e il 2014 ed è emerso che al primo posto c’è Palermo, nominata Capitale italiana della cultura 2018, con un incremento quinquennale dell’81,8 per cento, seguita da Firenze con l’80, Bari con il 25, Catania con il 16,7, Napoli con il 7,1 e Trieste con il 6,5 per cento. Tutte città del sud, a parte una, a dispetto di una tendenza generale che ha sempre visto il Centro nord distinguersi dal Mezzogiorno per entità di investimenti in attività e spazi culturali.
La voce di bilancio “spese per la cultura” comprende ciò che viene stanziato per incentivare la vita culturale della città e la possibilità di accesso alla conoscenza per i cittadini, quindi significa investire in biblioteche, musei, manifestazioni ed eventi. Da questi dati sulle prime città italiane è il Sud a mantenere un investimento mediamente più alto, ma confrontando il dato percentuale di spesa culturale con la spesa pro capite, il divario fra nord e Mezzogiorno resta, premiando il nord.
Considerando la spesa procapite delle maggiori città, al primo posto c’è Firenze con 162,3 euro, seguita da Trieste con 82,78, Bologna con 78,19, Verona con 78,09, Milano con 69,38, Torino con 65,35, Venezia con 64,15, Roma con 58,33, Padova con 56,09, Genova con 46,04 euro e solo dall’undicesimo al quattordicesimo posto le città del sud: Catania 21,37, Bari 20,28, Palermo 20,27, Napoli 15,22 euro procapite di spesa.
Se si allarga il campo di analisi alle regioni, e si considerano tutti i comuni, emerge che le vere eccellenze sono le realtà più piccole, distribuite su tutto il territorio nazionale. I due comuni più virtuosi d’Italia in quanto a spesa per cultura si trovano in Piemonte: al primo posto c’è Rassa, 66 abitanti in provincia di Vercelli, che nel 2014 ha speso 3.719,33 euro procapite, al secondo Moncenisio, 35 abitanti in provincia di Torino, con 795,38 euro e al terzo posto Fiera di Primiero in Trentino Alto Adige, che nel 2014 era un comune mentre oggi è uno dei cinque municipi di Primiero San Martino di Castrozza, con 787,57 euro. Nel Lazio i virtuosi sono Rocca Canterano, 196 abitanti, con 589,95 euro e Vivaro Romano, 182 abitanti, con 511,84 euro, entrambi in provincia di Roma. In Sardegna in evidenza nella classifica Villanovaforru con 625,18 euro, Borutta con 570,98 e Stintino con 547,67. In Calabria, Nocara e Canna, provincia di Cosenza, rispettivamente con 511,58 e 471,18 euro.
L’elemento importante è che, fatta eccezione per questi e altri piccoli comuni che non hanno tagliato la spesa, per tante altre amministrazioni italiane il rilancio della cultura pare non essere considerato un fattore anti-crisi, quanto piuttosto una voce da ridimensionare. E questo nonostante i numeri della cultura in Italia, uno fra tutti quello dei visitatori dei musei statali che nel 2016 ha raggiunto i 45 milioni e mezzo, con un aumento del 4 per cento rispetto al 2015.
Stando ai dati Istat, l’occupazione nel settore cultura è cresciuta dalle 537mila persone del 2008 alle 602 mila del 2014. Ma se si confrontano i dati nazionali con quelli di altri paesi europei, l’Italia è avanti solo alla Spagna che ha diminuito l’occupazione nel settore (da 442mila a 428 mila), ma resta indietro rispetto a Francia (dai 513mila ai 713mila), Regno Unito (da 829mila a un milione e 62mila) e Germania, passata da un milione e 10mila occupati nel 2008 a un milione e 183 mila occupati nel 2014. Tutti Paesi, peraltro, con un patrimonio artistico nettamente inferiore a quello italiano.