Un’Italia a volte divisa a metà, fra chi ad esempio vorrebbe uscire dall’Unione Europea e chi no, chi si sente povero e chi crede in un futuro miglioramento della situazione economica, chi ricorre ai prestiti perché non copre le spese quotidiane e taglia sulla salute e chi invece si gioca il patrimonio al tavolo verde. Sembrano più paesi in uno quelli fotografati dal Rapporto Eurispes di quest’anno, quasi equamente rappresentati nei dati raccolti dall’indagine annuale, compiuta su un campione di 1084 cittadini diversi per genere, età e appartenenza territoriale, che spesso nemmeno comunicano fra loro.
La maggior parte degli italiani crede che questo sarà l’anno della ripresa, ma solo una persona su dieci pensa di ricavarne un miglioramento nella sua personale situazione economica. Quasi la metà degli intervistati continua a faticare a raggiungere la fine del mese (il 48,3% contro il 47,2% del 2016) e uno su quattro si dichiara semplicemente “povero”. Le prime spese ad essere tagliate sono quelle per la salute, nel 38% dei casi, in un paese in cui il 54,3% dei cittadini si dichiara poco soddisfatto del sistema sanitario, un dato che al Sud raggiunge il 70%. Il dentista è il primo a farne le spese: il 31,9% ci ha rinunciato per i costi eccessivi, mentre il 23,2% ha tagliato sui servizi di fisioterapia e riabilitazione, il 22,6% non fa più prevenzione. Infine un 17,5% ha abbandonato anche le medicine.
Col calo del reddito medio, dove le uscite spesso superano le entrate, e chi può (il 44,9%) attinge ai risparmi degli anni precedenti o delle generazioni precedenti, si sta estinguendo anche quello che un tempo era definito “ceto medio”, oggi sostituito dalla galassia dei lavoratori precari.
Il fenomeno dei voucher è uno degli aspetti più inquietanti dei mutamenti che sta affrontando il mondo del lavoro. Sono i numeri a parlare: dai 15 milioni di ticket venduti nel 2011, si è arrivati a 115 milioni nel 2015 e a 109 milioni nel solo primo semestre dello scorso anno. I lavoratori che li utilizzano, secondo l’analisi Eurispes, sono tutte persone attive e non occupati saltuari, che cercano di destreggiarsi fra più lavori, magari part-time o temporanei, o che provano a integrare indennità di disoccupazione. Un’espansione del fenomeno che riguarda gli under 30 nel 43,1% dei casi, i trentenni nel 20,6% e i quarantenni nel 17,4%, fino alla quota dell’8% degli over 60.
Per il 28,5% di coloro che hanno contratto un mutuo sono le rate a rappresentare un problema, come lo è il canone d’affitto per il 42,1% di chi non vive in un’abitazione di proprietà. Si registra una maggiore coesione del nucleo familiare, ma anche questo dato va letto in un’ottica di crisi economica: il 13,8% dei giovani torna ad abitare con i genitori, il 32,6% si fa aiutare economicamente e il 23% gli affida i propri figli per non pagare le rette dei nidi privati o un servizio di baby sitting.
Perché si arriva alla povertà? La causa principale, quasi ovvia, è la perdita del lavoro. Segue la separazione o il divorzio, la malattia propria o di un familiare e la dipendenza dal gioco d’azzardo. Un dato, quest’ultimo, solo apparentemente incoerente rispetto al taglio di spese ben più necessarie nell’economia quotidiana. Se si considera che il 77,2% degli italiani dichiara di conoscere almeno una persona che non arriva alla fine del mese, che chiede aiuto a parenti e amici, ha difficoltà a mantenere un alloggio, non ha i mezzi per garantire gli studi ai figli, è pur vero che la tendenza a tentare la fortuna per sperare in una vincita di denaro è altrettanto conseguenza della crisi.
Nel 2016 il gioco d’azzardo ha raggiunto un volume d’affari di 95 milioni di euro. Il 54,4% degli italiani, circa 30 milioni di persone, gioca almeno una volta all’anno, il che vuol dire che se si applica il dato alla sola popolazione adulta, si sfiora il 70%. Tra i giocatori quasi un milione è rappresentato da soggetti compulsivi, mentre due milioni e mezzo si collocano al limite della patologia, e investono costantemente somme di denaro col miraggio di una svolta nello stile di vita. Dal 2008 la spesa per i giochi è raddoppiata: slot machine e videolottery restano in testa, seguite dai giochi di scommesse on line, dal Superenalotto e da poker e casinò in rete.
Nel frattempo anche il rapporto con le banche è cambiato, nel corso degli ultimi tre anni il 28,7% delle famiglie ha avuto la necessità di chiedere un prestito, ma il 7,8% di queste non l’ha ottenuto. Oltre alla costante di richiesta di liquidità per l’acquisto della casa, la seconda motivazione – e questa è una novità in allarmante crescita – è diventata la necessità di saldare debiti pregressi, nel 27,6% dei casi, o il bisogno di chiudere vecchi prestiti contratti con altre banche o finanziarie per il 17,9%. Il 10,9% delle famiglie ha invece richiesto denaro per far fronte a cure mediche, il 2,2% per finanziarsi le vacanze.
In crescita, insieme ai debiti, è la sfiducia nei confronti dello Stato e delle amministrazioni. Il 62,5% dei cittadini è convinto che le tasse non siano state abbassate e che l’annunciata chiusura di Equitalia non avrà alcun effetto sulle loro tasche. Sulla scuola i giudizi sono positivi per il 56,8% degli italiani, sulla sicurezza e l’ordine pubblico per il 44,7% e sugli enti previdenziali per il 43,5%. Bocciate le amministrazioni centrali per il 72,4% degli italiani, quelle locali per il 61% e il sistema della giustizia per il 56,9%. Quanto all’Europa, il 48,8% degli italiani è contrario a un’eventuale uscita dall’Unione, mentre i favorevoli sono il 21,5% (gli altri non si esprimono). All’ipotesi di un referendum su questo tema, il No si attesta al 39,1% contro il 29,5% di Sì e il 31,4% di indecisi. La moneta unica resta per il 75,6% degli italiani uno dei vantaggi dell’adesione all’Unione Europea, insieme alla facilità di spostamento da un paese all’altro, anche se il 70,8% si dichiara poco soddisfatto delle politiche economiche e della gestione del fenomeno migratorio.