Poco più di cinque anni fa Omar ha preso un fucile e si è unito ai ribelli libici per cacciare Gheddafi. Un sentimento patriottico di rivolta attraversava il Paese, Omar aveva vent’anni e sognava la libertà. Oggi cammina sulla rotonda di Zafaran, è stato per mesi il capo di una delle brigate della prima linea del fronte durante la battaglia per riconquistare Sirte dallo Stato Islamico. Ha avuto sotto la sua responsabilità una decina di ragazzi, il più giovane di loro ha diciassette anni.
Omar ha grandi occhiali da sole, i capelli a spazzola, una maglietta con i bordi consumati. Ai piedi indossa un paio di ciabatte. Nella mano destra ha ancora il fucile, ma questa volta non combatteva la rivoluzione, combatteva i miliziani del califfato. La Libia è un Paese nel caos, di fatto diviso a metà, con un governo – quello di Sarraj – appoggiato dalla comunità internazionale ma che nel Paese quasi nessuno riconosce e un mosaico di milizie che vogliono spartirsi il potere e il territorio. Poi c’è l’Isis, che qui per un anno ha goduto di una rapida espansione e che i libici hanno faticosamente sconfitto a Sirte, senza però scongiurare il rischio che altre sacche di consenso si spostassero a sud, nel deserto o si trasformassero in cellule dormienti in varie città della costa. (…)
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