Alla scoperta di Tepito, dove comandano le armi – Testo e foto di Fabrizio Lorusso

Mesico | Lorusso

La sala riunioni del Centro studi sul quartiere di Tepito, nel cuore antico e dimenticato di Città del Messico, è un autentico museo della memoria di una delle zone più famigerate dell’America Latina. Stigmatizzato dai mass media come covo di delinquenti, evitato da messicani e stranieri per la sua presunta pericolosità e considerato il tempio della merce di contrabbando, chiamata fayuca, Tepito è in realtà un’enclave di resistenza e creatività culturale. È formato da 56 isolati e abitato da cinquantamila abitanti, i tepiteños, distribuiti su un’area urbana dal tracciato trapezoidale e formalmente è parte del centro storico, dato che si trova solo a una decina d’isolati dalla cattedrale e dal zocalo, l’immensa piazza che è tappa obbligata del turismo tradizionale.

Il Centro culturale si dedica a far conoscere le tradizioni, il lavoro e le peculiarità di tanti commercianti e artigiani, di cuochi sopraffini e matriarche, di mitici pugili e ballerini che hanno fatto la storia di questo pezzo del Messico antico e dimenticato. Vi si accede dall’Eje 1 Norte, una caotica arteria cittadina che collega il ponente e l’oriente della capitale, le sue pareti raccontano la vita del barrio, del rione, in cui “tutto si vende tranne la dignità”, come si legge su un poster giusto all’entrata. Dal mattino presto le vie del quartiere brulicano di ambulanti e commercianti, staffette e commessi, compratori e cercatori d’occasioni che vivificano quello che è considerato il mercato a cielo aperto, o tianguis, più grande del continente. Senza tregua dall’alba al tramonto uno sciame di trasportatori ripartisce scatoloni e vettovaglie coi diablitos, “i diavoletti”, cioè carrellini a due ruote che svuotano magazzini e riempiono negozi in un batter d’occhio. “Attenti al diavolo!”, gridano per farsi largo nei vicoletti. I carrelli possono essere personalizzati con la filosofia di vita del proprietario: “Soffrite perché volete, son libero e di buon umore, domani me ne andrò, fate lutto, ragazze, chissà se tornerò”, dice uno. “A Tepito siamo gente onesta e lavoratrice, c’è delinquenza, chiaro, perché ci sono i soldi, ma il quartiere è riconosciuto perché siamo forti nel ballo e si lavora duro finché non fa scuro, dal canto del gallo al canto del grillo”, afferma don Luis, un anziano ed energico tepiteño doc che, fiero del suo marchio di fabbrica, porta sempre un badge con la scritta Hecho en Tepito, made in Tepito. (…)

 

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