È dal 13 dicembre dell’anno scorso che Mario non c’è più ma la sua storia di uomo continua a interrogarmi e ad attrarmi, come se la sua presenza fosse ancora più forte di prima. Per me non era solo il leggendario fotografo ma soprattutto un amico che incontravo al nostro bar, il Cafè Fleet, che prende il nome dal marinaio britannico sopravvissuto all’affondamento del Titanic, un bar del quartiere più popolare di Fermo, quello di Campoleggio. Lì “bevevo un bicchiere” come diceva lui, o anche due, facendogli compagnia, parlando di politica, letteratura o di qualsiasi altra cosa ci passasse in quel momento per la testa. In pubblico diventavo a detta sua “il celebre scrittore”, oppure “il formidabile narratore”, se nei paraggi c’era una donna potevo star sicuro che mi avrebbe messo all’angolo nonostante il divario anagrafico, e la “gentile fanciulla” di lì a poco non mi avrebbe degnato più del minimo sguardo per quanto era invece attratta da lui, l’inguaribile seduttore. A volte dal Fleet si progettava qualche viaggio, oppure si raggiungeva casa sua in Vicolo Zara, si chiacchierava nel piccolo cucinino, mentre preparava un risotto alla milanese, oppure addomesticava in padella un coniglio, cosa che a dire il vero appassionava entrambi. Stare con Mario, conversare con lui, era sempre un piacere grande, una specie di “libidine intellettuale”, ma anche un gran divertimento, perché il Maestro aveva uno straordinario senso dello humor (…).
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