La gelateria Bakdash, nel cuore del bazar, è da 120 anni lo specchio di Damasco. Richiama in media 10mila golosi al giorno per il semifreddo di latte siriano corredato di pistacchi (costa circa mezzo euro). Ma è soprattutto un luogo di socializzazione trasversale. Nei saloni, dove spiccano alle pareti i dagherrotipi della Damasco che fu, sono passati reali, politici (incluso Bashar Al Assad con la consorte Asma), star internazionali della cultura e dello spettacolo, uomini d’affari concentrati sulle transazioni commerciali e famiglie impegnate a combinare matrimoni. È qui, davanti a una coppa di gelato, che spesso si firmano i contratti e i promessi sposi si scambiano le fedi di fidanzamento.
Dall’inizio dell’anno Bakdash ha registrato un numero crescente di clienti. Segnale che dopo cinque anni di guerra le angosce si sono un po’ allentate e che in una città ancora traumatizzata dagli attentati nelle zone sciite si fa largo il desiderio di normalità, favorito dal clima di tregua e dall’intensa attività diplomatica per il ripristino di una pace duratura. Alla lunga la vita è sempre più forte della paura.
“Il periodo peggiore è stato il 2012 – racconta il titolare Samir Bakdash (terza generazione della dinastia) – un anno dopo lo scoppio della rivolta. L’atmosfera era lugubre, anche se Damasco è stata colpita meno di altre città. Dalle colline di Qassyoun tuonavano incessantemente le cannonate contro i ribelli che si erano annidati nei sobborghi. La gente era terrorizzata dagli orrori del conflitto e usciva poco di casa. Non c’era alcuna certezza del futuro. Ma pur con il bilancio in rosso non abbiamo mai chiuso e non abbiamo licenziato nessuno dei nostri 80 dipendenti. Ora sta tornando la fiducia. Lo notiamo dall’atteggiamento molto più disteso di chi entra nel nostro locale”. (…)
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