Dalla Siria alla Finlandia il lungo viaggio di Wissam – di Maria Camilla Brunetti, foto di Valentina Piccinni e Jean-Marc Caimi

Sono le tre di notte. Wissam mi guarda e accenna un sorriso, mentre attorno a noi centinaia di persone sono in fila da ore, sotto una pioggia battente e senza alcuna protezione fuori dai cancelli del campo di transito di Opatovac. Ci troviamo a dieci chilometri dal valico sul confine serbo-croato di Sid-Babska. Lo spiazzo d’asfalto di questa no mans’ land nel gelo e nel buio assoluto è rischiarato soltanto da un paio di lampioni da campo. Wissam indossa il corpetto fluorescente dei volontari per cui, sentendolo parlare arabo, immagino sia uno dei rari mediatori che prestano soccorso ai rifugiati in transito. Quando mi avvicino per chiedergli informazioni sul gruppo intorno a lui scopro che parla un inglese impeccabile, dal forte accento british. Dice di essere appena arrivato con gli altri dal valico sul confine serbo: “Non sono un mediatore, sono un rifugiato. Ma visto che qui non c’è nessuno che sappia parlare né arabo, né inglese e che possa fare da ponte tra le autorità croate che gestiscono il campo e i rifugiati, ho pensato di rendemi utile. Per questo mi hanno dato il giubbotto fluorescente”.
È il 23 settembre 2015. Anche Wissam, prima di essere condotto qui, è rimasto per ore sdraiato nel fango a Sid, l’ultimo avamposto in Serbia prima del confine croato, insieme al gruppo con cui viaggia dalla Turchia. Il 13 settembre si sono imbarcati su un gommone che dal porto turco di Izmir li ha lasciati sulle coste rocciose dell’isola greca di Lesvos. Nelle stesse ore in cui Wissam, insieme a migliaia di altri rifugiati richiedenti asilo in Europa, attendeva nel fango di poter entrare in Croazia anch’io mi trovavo nello stesso valico. (…)

 

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valentina

 

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