Gli avevano scritto perfino la canzone funebre, convinti che sarebbe morto dopo lo scontro con la polizia che gli aveva lasciato sei pallottole in corpo e l’accorata previsione dei medici che sarebbe passato dalla clinica al cimitero, per come era ridotto. José Alberto Mujica Cordano aveva 35 anni (era il 1970, tre anni prima del colpo di Stato in Uruguay) ed era un tupamaro in guerra con un sistema democratico ma ingiusto, o meglio molto lontano dall’ideale di giustizia suo e dei suoi compagni: quello di un mondo governato dal popolo e basato su una distribuzione delle ricchezze equa e stabilita dallo Stato, alla cubana insomma. Non solo si salvò, ma superò con piglio i molti guai che gli avrebbe procurato quella militanza: a partire dai quattordici anni di carcere duro, alcuni dei quali trascorsi in condizioni inumane, ma di cui non si è mai troppo lamentato, considerandoli – ha raccontato più tardi – una parte del bagaglio che si porta appresso, ma che non gli impedisce di guardare avanti. (…)
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