Il conflitto colombiano terminerà il 23 marzo 2016. L’hanno assicurato il governo e la guerriglia marxista Fuerzas armadas revolucionaria de Colombia (Farc), impegnati nei negoziati di pace dal novembre 2012. A pochi mesi dalla possibile fine di una guerra che da circa cinquant’anni oppone esercito e guerriglie abbiamo incontrato Leonardo Ilich Rojas, ex comandante delle Farc, che nacquero negli anni ‘60 per difendere i contadini dalla violenza dei latifondisti. Leonardo non è un contadino. È nato nella capitale colombiana, Bogotá, ed è figlio di una famiglia altoborghese che improvvisamente, quando aveva 12 anni, perse tutto quello che aveva. Leonardo riuscì comunque ad andare all’università, dove entrò in contatto con persone che collaboravano con i guerriglieri.
Che cosa ti ha spinto a prendere una decisione così radicale, a lasciare tutto per andare a combattere nella giungla?
Sono entrato in contatto con le Farc mentre vivevo a Bogotá e lavoravo a una ricerca accademica sul paramilitarismo. Il mio professore era Dario Betancourt Echeverri, che venne fatto sparire e fu ucciso dai paramilitari. Io e le altre persone che stavano lavorando alla ricerca fummo aggrediti, un ragazzo della scuola dove lavoravo mi sparò al braccio. Fui poi coinvolto in un secondo attentato mentre ero con mia figlia, che non aveva neanche un anno: mi hanno seguito in moto e mi hanno sparato. In quel periodo stavo collaborando con la guerriglia a livello accademico, ma dopo l’attentato ho deciso di entrare direttamente nelle Farc. Sapevo che se rimanevo in città mi avrebbero ammazzato e temevo per la mia famiglia.
Hai combattuto nelle Farc per quasi diciott’anni. Quali sono le maggiori difficoltà che hai trovato entrando nella guerriglia, vivendo nella giungla?
Un grande problema era l’orientamento, mi perdevo in continuazione; quando iniziai a partecipare ai combattimenti, spesso avevo più paura di perdermi che di essere ucciso. Anche se fisicamente ero molto preparato, è stato davvero duro sopportare la vita nella guerriglia dal punto di vista della resistenza fisica. Un guerrigliero porta con sé uno zaino pesantissimo, in cui c’è quello che usa per dormire, per mangiare, per lavarsi, le munizioni. A volte non riuscivo a mettermelo in spalla da solo, avevo un compagno che mi aiutava perché non riuscivo ad alzarlo da terra. E con uno zaino di questo tipo ci toccava camminare cinque o sei ore, una volta camminammo quindici ore consecutive. Muoversi è una costante della guerriglia, la guerriglia che sta ferma è morta, in media i guerriglieri dormono solo una o due notti nello stesso posto. Che Guevara la chiamava la guerra delle pulci: muoversi in modo che il nemico non sappia dove sei, attaccarlo quando hai la possibilità di farlo.
Perché le Farc scelsero l’insurrezione armata?
Le Farc nel loro statuto e nei loro documenti ribadiscono che la politica si deve fare pacificamente, che le armi non sono l’obiettivo. Le armi vengono utilizzate nella concezione marxista-leninista della combinazione delle forme di lotta, ma l’ideale sarebbe arrivare al potere senza. Le Farc hanno sempre fatto la guerra non perché la vogliono fare, ma perché le condizioni oggettive della Colombia impediscono di fare politica in altro modo. Molti ragazzi si arruolano perché sono obbligati, non obbligati dalla guerriglia ma dalle loro condizioni di vita. Spesso entrando nelle Farc per la prima volta nella vita si mettono degli stivali e mangiano tre volte al giorno. Molti arrivano perché i genitori o i fratelli sono stati uccisi dai paramilitari o dall’esercito, arrivano con molto risentimento, con odio nei confronti dello Stato e delle autorità per quello che gli hanno fatto. La guerra in Colombia è una guerra fratricida, tra fratelli, sono solo i poveri che vanno sul campo di battaglia, qui non vedrai mai un ricco prendere in mano un fucile, mai.
Le Farc sono accusate di gravi violazioni dei diritti umani. E i metodi di finanziamento della guerriglia sembrano poco ortodossi: si parla di estorsioni, sequestro di persona, narcotraffico.
La guerriglia ha varie fonti di finanziamento. Le Farc sono come uno stato in crescita, e proprio come uno stato riscuotono le tasse. La “tassa per la pace” prevede che ogni persona fisica o giuridica che possieda più di un milione di dollari versi denaro alla guerriglia. Se le persone o le imprese hanno soldi da dare allo stato borghese, da dare alla guerra che il governo fa contro i poveri, possono pagare anche le tasse alle Farc. Un’altra fonte di finanziamento è il narcotraffico: le Farc riscuotono una tassa su qualsiasi carico di droga che si muove nel loro territorio. Ma non sono un cartello del narcotraffico, non hanno linee di esportazione. Infine ci sono le donazioni volontarie.
E il sequestro.
Il sequestro è stato utilizzato nella storia delle Farc. Con i negoziati del 1991 è stato proibito quello estorsivo, cioè è stato proibito sequestrare persone per chiedere un riscatto. Esiste un’altra eventualità, cioè che una persona che non paga la “tassa per la pace” venga imprigionata fino a quando non lo paga. Il governo lo considera sequestro, ma quando mettono in carcere una persona che non paga le tasse, in quel caso cos’è?
Pensi che sarà davvero possibile la firma di un accordo di pace?
Sì, credo che si possa arrivare a un accordo di pace. Deve venire fuori la verità, anche se sarà molto dolorosa. Deve venire fuori chi ha causato la guerra, chi ne ha beneficiato e chi l’ha finanziata. Esistono grandi industrie che finanziano la guerra e il paramilitarismo, come la Chiquita. Se si inizia a raccontare cosa è successo realmente è un buon inizio, ma devono anche avvenire dei cambiamenti strutturali. La guerra in Colombia non è mai finita perché le condizioni che l’hanno generata persistono: disuguaglianze, povertà, esclusione sociale, mancanza di opportunità e di educazione. Cosa succederebbe se la guerriglia abbandonasse le armi e nel Paese non avvenisse nessun cambiamento strutturale? I guerriglieri, che hanno un addestramento militare, se non avranno un lavoro, nel giro di pochi anni potrebbero scegliere la strada della criminalità.