“Quando ci siamo voltati, in fuga, e abbiamo visto le colonne di fumo nero salire, abbiamo capito che tutto era perduto”. Emira è anziana, di cose nella vita ne ha viste, “ma una cosa del genere non me l’aspettavo proprio, è del tutto senza senso. Quelle bombe sulle nostre case, gli spari sopra le nostre teste. Dormivamo tutti, poi un rumore assordante e i pezzi di muro che ci sono caduti in faccia. Così ci siamo svegliati, erano le cinque del mattino. I bambini piangevano di sotto, mio genero ci ha portati tutti in cantina e siamo rimasti lì nascosti per ore. Poi, in un momento di calma, siamo usciti, c’era fumo ovunque, la casa bruciava. Tutto era perduto”. Emira è albanese, come albanesi sono tutti coloro che la mattina del 9 maggio scorso si sono svegliati con i colpi di kalashnikov che piovevano in casa. Una casa che ora è solo macerie, sventrata dalle granate, crivellata dai proiettili, in uno scenario di guerra.
Siamo a Kumanovo, la seconda città della Repubblica di Macedonia, a un’ora di strada da Skopje e vicina alla frontiera con Serbia e Kosovo. (…)
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